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«Tutto per la roba»: Licata è sgomenta. «Erano benestanti», dice chi conosceva i due fratelli

Angelo Tardino, l'uomo che ha ucciso i 4 familiari e poi si è tolto la vita

«Cosa c'entrano i picciriddi? Perché anche loro? Che gli hanno fatto?». I picciriddì, i bambini, sono Alessia di 15 anni e Vincenzo di 11, che Angelo Tardino, lo zio, non ha risparmiato in una furia omicida che si è scatenata questa mattina alla periferia di Licata, quando l’uomo ha sterminato, assieme ad Alessia e a Vincenzo, il proprio fratello Diego e la cognata Alexandra Ballacchino. Poi, ma non subito, ha rivolto l’arma contro se stesso, e ha sparato gli ultimi due colpi.

È soprattutto di loro, dei picciriddi, che si parla nel bar Sombrero, punto di ritrovo all’ingresso di una città che vive di mare, con un porto turistico privato importante, e di agricoltura, il cui sviluppo ha fatto fiorire negli anni distese di serre, il cui luccichio al sole si confonde con l’azzurro del mare e inganna gli occhi di chi arriva da Caltanissetta. Licata appartiene alla provincia di Agrigento, ma è a una ventina di minuti da Gela, nel Nisseno. Venduti, comprati o ereditati, dai terreni sgorga un altro luccichio, quello dei soldi.

«Erano benestanti», racconta un agricoltore fuori dal bar, venuto qui come molti, per trattare un affare: «Avevano delle serre - aggiunge, facendo intendere di essere un parente dei fratelli - e litigavano per questioni di terreni». Angelo Tardino era benestante, sì, ma alla «roba» teneva fino a sacrificarvi la vita altrui, e il caso vuole che lo abbia fatto nel centenario della morte di Giovanni Verga (che cade domani), che nell’ossessione per la «roba» ha letto e interpretato un pezzo del carattere dei siciliani.

Non era un «vinto», Angelo Tardino, non era stato travolto dalla «fiumana del progresso». «Era una persona normale - spiega all’Agi il sindaco, Pino Galanti -, accompagnava i propri bambini alle attività sportive, li portava a gareggiare in piccoli campionati sportivi. Nessuno mai poteva sospettare una perdita completa del controllo dei propri istinti». Dovranno fare i conti, i due figli di Angelo Tardino, quasi coetanei di Alessia e Vincenzo, con questo ricordo, che per loro rischia di trasformarsi in un marchio.

«La roba non è di chi l’ha, ma di chi la sa fare», fa dire Verga a Mazzarò, nella novella; e ancora: «...a lui non gliene importava del denaro; diceva che non era roba, e appena metteva insieme una certa somma, comprava subito un pezzo di terra». Così, per un frammento di terra, per un movimento di qua o di là da un confine, l’uomo ha fatto irruzione questa mattina presto in casa del fratello e ha sparato. Forse è stato il culmine di una lite precedente, l’ennesima, secondo fonti dei carabinieri.

«Il padre dei due fratelli - spiega chi conosce la famiglia - aveva sempre fatto da mediatore, cercato di mettere pace tra loro, ma questa volta qualcosa non ha funzionato». Angelo ha prima ha estratto una Beretta calibro 9 e ha ucciso Diego e la moglie Alessandra; poi è stata la volta di Alessia e di Vincenzo, che per proteggersi da quella follia ha tirato su la copertina di lana. Angelo Tardino ha sparato loro con una rivoltella: Vincenzo, lo hanno trovato sotto il letto, avvolto nella coperta. Angelo Tardino, dopo aver lasciato dietro di sé sangue e morte, si è diretto verso il centro di Licata, e nello stesso tempo parlava con i carabinieri, che cercavano di rintracciarlo. A un certo punto il rumore di uno sparo è risuonato nell’abitacolo della sua auto, mentre percorreva via Mauro De Mauro: Tardino aveva deciso di farla finita, ma non c'è riuscito subito. E morto qualche ora dopo in ospedale a Caltanissetta.

A qualcuno, in città, è tornata in mente ricorda la strage avvenuta tra Butera e Licata undici anni, fa il 21 giugno 2011: il licatese Giuseppe Centorbi uccise i compaesani Filippo Militano, la moglie e il figlio tredicenne della coppia. «Avevano oltrepassato i confini della mia terra», disse Centorbi. Il movente, ancora quello: la roba, in una Sicilia che, vista da qui, sembra immutata.

 

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