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Il giovane di Lampedusa sotto Tso ingoiato dal mare, la madre: «Pretendo giustizia»

Una mamma di Lampedusa chiede verità e giustizia per suo figlio. Pietro Amato era un giovane di 28 anni che abitava con la madre e il fratello più piccolo a Lampedusa. Dall'età di 19 anni soffriva di schizofrenia paranoide cronica con esacerbazione acuta. Aveva tentato diverse volte atti di autolesionismo ed era stato ricoverato in diversi ospedali e comunità. Il 23 ottobre scorso, si è imbarcato su un traghetto al porto di Lampedusa, in compagnia di personale sanitario, perché era stato disposto per lui un Tso. Purtroppo, però, mentre l'imbarcazione era in viaggio verso Agrigento, il 28enne è scomparso dalla sua cabina e nessuno lo ha più ritrovato. Si teme che si sia lanciato in mare. Un'ipotesi che sarebbe stata confermata dalle telecamere di videosorveglianza del traghetto.

Adesso la madre di Pietro, Marie Rose, Christelle Partinico, si pone tanti interrogativi e pretende che vengano accertate le responsabilità, se davvero si è trattato di suicidio. Ma lei non ha dubbi su cosa possa essere successo: «Ho contattato un investigatore, mi ha detto che si è messo in contatto con i carabinieri - racconta alla redazione di gds.it -. Nel video delle telecamere della nave si vede mio figlio che si butta in mare».

Pietro Amato, dunque, si sarebbe tolto la vita. Ciò che la Magistratura dovrà però accertare è come sia stato possibile che il 29enne, i cui referti clinici non lasciavano alcun dubbio sulla patologia e sull'instabilità del giovane, sia riuscito a compiere un gesto simile senza che nessuno dei suoi accompagnatori lo abbia fermato.

«Alle 20 sono venuti a casa mia la polizia municipale (che lo ha accompagnato solo al porto) e due operatori del 118 - spiega la donna -. Insieme ad altri tre colleghi, quindi in totale erano cinque, dovevano portarlo al Civico di Palermo per ricovero programmato (tso, ndr). Quando sono arrivati, Pietro era seduto e stava mangiando un cornetto in modo da poter prendere delle gocce, uno psicofarmaco che serviva per compensare la terapia. Ho chiesto espressamente di non sedarlo - continua - e mi hanno garantito che non lo avrebbero fatto perché il ragazzo era buono. Nel dubbio che potesse avere qualche problema sulla nave si sono portati le gocce di Haldol, anche se in assenza di terapia avevano poco effetto su Pietro. Diverse volte mio figlio ha tentato il suicidio. In quei momenti non era capace di intendere e volere. Io non lo lasciavo un minuto da solo».

Ed è su ciò che la signora Partinico, con la voce interrotta dal pianto, non si dà pace: «Ciò che mi chiedo è perché mio figlio sia stato lasciato solo sulla nave. Ho nominato un legale e vado avanti per avere giustizia. Loro avevano il compito di stare attenti a mio figlio - conclude la mamma di Pietro - non si può lasciare solo un ragazzo con una patologia simile».

Sul caso della scomparsa e del probabile suicidio di Pietro Amato la Procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta, procedendo alle prime iscrizioni nel registro degli indagati, senza tuttavia rendere noti i loro nomi. I responsabili del 118, contattati da gds.it, in questo momento preferiscono non sbilanciarsi: «Siamo fiduciosi sull'operato della magistratura che farà luce sull'evento - dice Fabio Genco, direttore del servizio ambulanze 118 di Palermo e Trapani -. Nello stesso tempo siamo dispiaciuti e vicini alla famiglia del ragazzo».

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