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Migranti, scoperta la «nave madre» dei trafficanti sulla rotta per Lampedusa: 5 arresti

Foto d'archivio

I finanzieri di Lampedusa hanno fermato 5 membri dell’equipaggio di un peschereccio tunisino, con l’accusa di aver consentito l’ingresso irregolare in Italia di 11 migranti. L’operazione è stata portata a termine il 17 febbraio ma è stata resa nota oggi.

Secondo quanto è stato ricostruito, il personale di un velivolo dell’Agenzia europea Frontex ha segnalato la presenza di un peschereccio extracomunitario, già in acque territoriali italiane, che dirigeva verso Lampedusa con al traino un natante in ferro, privo di motore e di occupanti. Invece quando le unità navali della Guardia di finanza hanno intercettato l’imbarcazione in ferro, questa non era più vuota ma risultava occupata da 11 migranti irregolari, tra cui donne e bambini, di provenienza tunisina ed algerina.

Verificata l’assenza di pescato sull’unità da pesca e le ottime condizioni di salute dei migranti intercettati, poco compatibile con chi affronta i cosiddetti «viaggi della speranza» via mare, i militari prendevano il controllo del motopesca, sospettato di essere coinvolto nel traffico di migranti, e procedevano verso il porto di Lampedusa per approfondimenti. Gli immigrati, invece, venivano trasbordati sulle unità navali del Corpo e messi in sicurezza, per poi essere affidati al dispositivo di accoglienza presente in porto e successivamente trasferiti all’Hotspot dell’isola.

Le complesse attività investigative poste in essere dai finanzieri di mare, tutte svolte sotto il coordinamento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento, si concretizzavano nell’esecuzione della misura del fermo di indiziato di delitto nei confronti di tutti i componenti dell’equipaggio del peschereccio tunisino, i quali, sempre a bordo della motovedetta V.7007 venivano trasferiti presso Porto Empedocle per poi essere tradotti alla casa circondariale Petrusa di Agrigento.

Il procuratore Vella: «Non c’è stata collaborazione da parte dei migranti»

«Non c’è stata collaborazione da parte dei migranti che erano in viaggio. Ma questo non ci stupisce perché, in genere, i tunisini a bordo vengono trattati meglio rispetto ai subsahariani che, invece, di fatto poi sono più collaborativi con le forze di polizia italiane perché rischiano la vita e hanno una forma di gratitudine nei confronti dei nostri equipaggi in mare». Lo detto il procuratore reggente di Agrigento, Salvatore Vella, sulla ‘nave madrè fermata dalla Guardia di finanza. «In questo caso, come è già successo anche in altre occasioni naufragi compresi - ha aggiunto il magistrato - è venuta fuori una solidarietà stretta fra tunisini trasportati ed equipaggio. A fare parziali ammissioni di responsabilità è stato uno dei membri dell’equipaggio che ci ha confermato che questo era un viaggio destinato a trasportare i migranti».

Gli 11 migranti, compresi tre minorenni e tre donne, erano partiti dal porto di Madhia. Poco al largo del porto, verosimilmente per evitare di essere bloccati dalla Guardia costiera tunisina, sono stati caricati sul peschereccio che li doveva condurre fino alle coste siciliane. «E’ successo un imprevisto durante il viaggio - ha ricostruito il colonnello Alessandro Bucci, comandante del reparto Operativo aeronavale di Palermo - e hanno recuperato, in mare, uno di questi barchini in ferro. Uno dei tanti che, dopo aver salvato i migranti, vengono lasciati alla deriva. Ed è stato proprio questo barchino che veniva trainato vuoto che ha insospettito». «Le organizzazioni tunisine caricano almeno una cinquantina di migranti e in questo caso erano soltanto undici. Il barchino era vuoto e pulito, non c’erano viveri, né resti, né taniche di benzina - ha aggiunto il colonnello Bucci - . Il motopesca aveva chiamato, via radio, i soccorsi, facendo mettere in moto la macchina dei soccorsi per recuperare i migranti. Avevano fornito però un nominativo fittizio».

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