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L'addio ad Angelo Meli, «una borsa di studio e una via a Canicattì»

L'ultimo saluto al nostro collega, stroncato giovedì da un infarto fulminante

Dei rintocchi di campane. Pochi, come avrebbe voluto lui che non amava le celebrazioni, figuriamoci le commemorazioni. Ad aspettarlo in centinaia. Angelo Meli era amato da tutti. Tutti. Molti i colleghi arrivati da ogni parte dell’Isola, tanti gli amici, i familiari, i concittadini e quelli che con lui avevano percorso un pezzo di strada. Angelo aveva espresso la volontà di essere cremato e così è stato. Mentre si aspettava l’arrivo delle sue ceneri ognuno raccontava un aneddoto su Angelo Meli. Era un attento osservatore della realtà, un giornalista preparato, puntiglioso. Un finto burbero dal cuore grande. Grandissimo. Un amico sempre presente che accoglieva e voleva bene. Un ortodosso dell’onestà. Tutti d’accordo. Le ceneri sono arrivate al cimitero di Canicattì alle 12.30 in punto. Un corteo, guidato dalla dolcissima moglie Maria Rita Sgammeglia, ha accompagnato il carro funebre fino alla cappella laica dove sono stati sistemati i resti di Angelo e una sua foto. Già, una sua foto con quel sorriso sornione ma sincero che, a chi lo ha incontrato sul suo cammino, metteva allo stesso tempo timore reverenziale e sicurezza. Dicotomie che Angelo sembrava voler esternare per non prendersi mai troppo sul serio e per non fare incorrere gli altri nello stesso errore. «Comu sì?» diceva appena ti incontrava, poi si fermava e ti osservava per lunghissimi secondi aspettando la tua risposta. Perché a lui «Comu sì» interessava davvero. Lo capivi quando, dopo settimane, ti chiamava per sapere se quel problema era stato risolto. E allora la domanda cambiava in «Comu finì?». E, se non era finita bene, ecco arrivare le parole di conforto e un consiglio per una via d’uscita. Perché Angelo era quello dei consigli veri, duri, spiazzanti, ma mai sconfortanti. Per lui c’era sempre un modo per farla finire bene, una via di fuga dal problema. Ieri a prendere per primo la parola è stato il direttore del Giornale di Sicilia, Marco Romano.

«Ho condiviso un percorso trentennale con Angelo - ha detto Romano -. Abbiamo letto negli scritti sui giornali e sui social il senso di profonda stima e affetto che aveva ingenerato in tutti. Tutti parlavano di una persona perbene e gentile, un professionista retto ed esemplare. Un esempio nella vita privata e professionale. Se potessimo chiedere un ultimo regalo alla morte, avrei voluto che Angelo avesse potuto guardare voi che siete qui e leggere tutto quello che è stato scritto su di lui in queste ultime ore. Se tutto questo fosse possibile, noi avremmo davvero consegnato in parte quello che Angelo avrebbe meritato di ascoltare da vivo». Durante la commemorazione laica è stato letto uno scritto inviato dall’estero dal procuratore Calogero Gaetano Paci, amico di una vita di Angelo. «Sei stato per tutti il fratello che mancava, l’amico che trovi sempre. Eri attento a tutelare i giovani giornalisti e a censurare chi tradiva i doveri professionali». Un commosso Vito Lo Monaco, presidente emerito del Centro Pio La Torre, ha annunciato la creazione di un borsa di studio dedicata ad Angelo Meli e ha invitato il sindaco di Canicattì a intitolargli una via. Angelo aveva un rapporto simbiotico con la moglie Maria Rita. Una di quelle pochissime coppie che suscitano infinita ammirazione. «Per me siete tutti di conforto - ha detto la dolcissima Maria Rita con un filo di voce. - Angelo vedendovi così tanti vi avrebbe mandato scherzosamente a quel paese». Sì lo avrebbe fatto sicuramente e poi avrebbe detto «ora basta cu sti cosi ca sav’a travagghiari». Eh sì, Angelo, qui al giornale cercheremo di onorare la tua memoria cercando di seguire, come sempre, quel segno indelebile che hai tracciato. Ciao collega, ciao amico, ciao Angelo da tutti noi che abbiamo il cuore a pezzi, «ora emu a travagghiari».

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