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«Pensavamo fossero i soccorsi e invece erano pirati», il racconto di un migrante al pm di Agrigento

«Dopo aver legato la nostra barca al peschereccio, un pescatore si è sporto ed ha afferrato il nostro motore tirandolo a bordo del peschereccio»

«Quando è sopraggiunta una barca, pensavamo fossero i soccorsi e invece, non appena si sono avvicinati, abbiamo visto che si trattava di un peschereccio tunisino. Temendo che si potesse verificare quanto era accaduto pochi giorni prima, quando altri erano stati privati del loro motore, abbiamo deciso di non parlare con i pescatori ma i 6 uomini d’equipaggio ci hanno detto che dovevamo consegnare loro il nostro motore».

È il racconto di uno dei 49 migranti che erano a bordo del barchino, salpato da Sfax, agganciato e depredato, nella tarda mattinata di sabato, dai pescatori -pirati. Le testimonianze sono state raccolte dagli investigatori della squadra mobile di Agrigento, della guardia di finanza e della capitaneria. Il fermo dei 6 tunisini, su richiesta del procuratore Salvatore Vella, è stato convalidato dal gip del tribunale di Agrigento Stefano Zammuto che ha disposto per tutti gli indagati la custodia cautelare in carcere contestando loro il reato di pirateria.

«Il nostro timoniere - prosegue il migrante - ha provato ad allontanarsi, ma non c’è riuscito anche a causa del mare mosso che rendeva difficile ogni manovra. Temendo per la nostra incolumità, abbiamo accettato di legare la nostra barca, con una fune, al peschereccio tunisino».

«Dopo aver legato la nostra barca al peschereccio, visto che i due natanti erano affiancati, - ricostruisce ancora il migrante - un pescatore si è sporto ed ha afferrato il nostro motore tirandolo a bordo del peschereccio. Tutto è avvenuto nonostante le nostre proteste: eravamo consapevoli che senza motore eravamo in pericolo. I pescatori tunisini per calmarci ci hanno detto che non ci avrebbero lasciati in balia delle onde e che avrebbero aspettato i soccorsi». Per un breve tratto i migranti a bordo del barchino sono stati rimorchiati, poi i pescatori hanno deciso di mollare la fune e di allontanarsi. «Eravamo disperati - ricorda il testimone agli inquirenti - dopo circa 2 ore gli stessi pescatori sono tornati e ci hanno affiancato. Molti di noi piangevano per la paura.

Probabilmente per calmarci hanno iniziato a lanciarci del pane. Hanno provato a rassicurarci, ci hanno detto che se avessimo consegnato loro del denaro, avrebbero aspettato l’arrivo dei soccorsi. Non avendo altre possibilità abbiamo accettato il ricatto, abbiamo raccolto complessivamente 150 dinari tunisini che abbiamo messo dentro un cappello e lo abbiamo lanciato sul peschereccio». Stando sempre a questo racconto «i tunisini hanno continuato a trainarci per circa un’ora, fino a quando, in lontananza, abbiamo intravisto l’arrivo dei soccorsi italiani. In quel momento, il peschereccio ha invertito la rotta e si è allontanato in fretta».

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