Il procuratore reggente di Agrigento, Salvatore Vella, e il sostituto procuratore Maria Barbara Cifalinò hanno chiesto il rinvio a giudizio di tre ufficiali dei carabinieri per rivelazione di segreto d’ufficio. Sono il colonnello Vittorio Stingo, comandante provinciale dei carabinieri ad Agrigento, il capitano Augusto Petrocchi, a capo della compagnia di Licata, e il tenente Carmelo Caccetta, ex comandante del nucleo operativo radiomobile della stessa compagnia dell’Arma. L’udienza preliminare è stata fissata per il 29 marzo dinanzi al gup di Agrigento, Micaela Raimondo.
Si tratterebbe di uno scambio di notizie tutto interno all’Arma dei carabinieri e finalizzato al trasferimento di un collega che da lì a poco sarebbe stato arrestato, che ha rischiato di compromettere l’esito di un’operazione del Ros. I primi passi della vicenda risalgono al giugno di due anni fa: l’allora procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, adesso a capo dei pm di Roma, comunica - «lecitamente», come sottolinea l’atto di accusa dei pm agrigentini - a Stingo che il Ros di Palermo aveva in corso un’attività di indagine che coinvolgeva alcuni suoi uomini e, in particolare, alcuni carabinieri della compagnia di Licata.
Da settembre dello stesso anno e fino al giugno successivo, sempre in maniera legittima, secondo la ricostruzione della procura di Agrigento, un alto ufficiale dell’Anticrimine aggiorna Stingo, evidentemente per ragioni istituzionali, degli sviluppi della vicenda, comunicandogli che il militare indagato era il luogotenente Gianfranco Antonuccio, in servizio alla compagnia di Licata, che da lì a breve fu arrestato con l’accusa di avere chiesto tangenti in cambio di favori e coperture. L’ufficiale lo informò degli sviluppi dell’indagine e della possibilità di una misura cautelare. Stingo «violando i doveri inerenti le funzioni - è l’atto di accusa dei pm - rivela le circostanze al sottoposto capitano Petrocchi al fine di avviare una procedura di trasferimento per incompatibilità ambientale di Antonuccio». In questo modo, secondo il procuratore Vella e il pm Cifalinò, «mettendo concretamente a rischio il buon esito dell’attività di indagine». A quel punto Petrocchi avrebbe, quindi, riferito a Caccetta e a un altro sottotenente le informazioni apprese da Stingo, sempre per le stesse finalità, ovvero fare trasferire la «mela marcia» della compagnia. Il tutto, però, «prima che venisse arrestato o fosse nota la sua condizione di indagato». Caccetta, infine, avrebbe rivelato quanto appreso da Petrocchi a un luogotenente che lavorava con Antonuccio, al fine di metterlo in guardia e tenersi distante. Condotta che, secondo la procura, avrebbe rischiato di compromettere l’indagine che il 4 luglio scorso ha portato all’arresto di Antonuccio.
«Il collegio difensivo - interviene l’avvocato Salvatore Pennica, legale di Stingo e Petrocchi - sa che il valore degli uomini si misura nelle battaglie e siamo orgogliosi di difendere l’onore ed prestigio di due eccellenti ufficiali convinti della inconsistenza della contestazione».
Quella su Antonuccio era un'indagine della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, coordinata dall’aggiunto Paolo Guido. I carabinieri del Ros di Palermo, proprio il 4 luglio del 2022, hanno arrestato e posto ai domiciliari il luogotenente dell’Arma Gianfranco Antonuccio, in servizio al reparto Investigativo della compagnia di Licata. Nei suoi confronti ci sono le dichiarazioni dell’avvocato Angela Porcello, ritenuta tra i capi di Cosa nostra agrigentina, che ha parlato di un suo presunto ruolo da intermediario con boss detenuti. La donna ha dichiarato ai pm che il carabiniere avrebbe chiesto 1.500 euro al suo compagno, il capomafia Giancarlo Buggea, quando questi era ai domiciliari. Antonuccio, incaricato di controllare che Buggea rispettasse le prescrizioni imposte dalla misura, avrebbe in cambio chiuso un occhio sul suo comportamento. Il suo nome ricorre, inoltre, in diverse intercettazioni dalle quali emergono anche suoi presunti rapporti con una organizzazione di trafficanti di droga.
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