«Un avvocato penalista con capacità professionali non comuni che, col tempo, ha dismesso la toga per trasformarsi, in forza della sua cultura e delle specifiche competenze tecniche, in una sorta di consigliori della consorteria mafiosa». Il gip Stefano Zammuto, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta del pool di pm della Dda di Palermo, composto da Geri Ferrara, Claudio Camilleri e Gianluca De Leo, di convalida dei fermi dell’operazione «Xydi», motiva così il provvedimento che conferma il carcere per Angela Porcello, 50 anni, accusata di avere avuto un ruolo direttivo nella famiglia mafiosa e di avere, fra le altre cose, custodito la cassa del mandamento.
Bocciata la tesi difensiva della professionista che, in occasione dell’interrogatorio, aveva detto al giudice che «aveva agito solo come avvocato e all’esclusivo fine di proteggere il compagno da iniziative giudiziarie». «Al contrario - sottolinea il giudice Zammuto nel provvedimento - è emerso che la stessa ha strumentalizzato la sua nobile professione esercitata».
Uno degli esempi della strumentalizzazione del suo ruolo di avvocato sarebbe la circostanza che avrebbe cercato di assumere mandati difensivi solo per dare protezione ai mafiosi una volta diventati suoi clienti. «Su sollecitazione del boss Giuseppe Falsone - è scritto nel provvedimento - ha assunto incarichi professionali da appartenenti a Cosa Nostra di altri territori in regime di detenzione severa (Alessandro Emanuello e Pietro Virga), non solo e non tanto per avere un difesa tecnica, ma, per come affermato da Falsone, per garantire loro un canale comunicativo verso l’esterno». Il gip prosegue: «L'avvocato ha sfruttato ufficiali di polizia giudiziaria compiacenti a lei legati per acquisire informazioni coperte da segreto finalizzate ad eludere le investigazioni giungendo a commissionare atti finalizzati a danneggiare cosche concorrenti».
Il giudice Zammuto, inoltre, sottolinea come l’avvocato Porcello, nel corso dei summit che si sarebbero tenuti nel suo studio, trasformato - sostiene l’accusa - in un vero e proprio quartier generale del mandamento mafioso, sarebbe intervenuta sempre «con tono risoluto e forte personalità». Fra gli elementi di indagine sottolineati quello della lamentela con il mafioso Gregorio Lombardo «della mancata uccisione del collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta». Confermata, inoltre, secondo il gip, la circostanza che avrebbe tenuto la «cassa dell’associazione su incarico del compagno». «Gli indizi a suo carico - conclude il gip Stefano Zammuto - superano ben oltre la gravità richiesta per la convalida». AGI
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