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Crack gruppo Pelonero ad Agrigento, Cassazione: "Nessuno andava arrestato"

Ricorso inammissibile: arriva il sigillo definitivo della Corte di Cassazione. I nove componenti della famiglia Sferrazza, che da tanti anni gestisce i negozi del gruppo Pelonero, che operano nel settore dei casalinghi e degli articoli da regalo, e la commercialista Graziella Falsone non andavano arrestati. I giudici ermellini hanno respinto la richiesta dei pubblici ministeri della Procura di Agrigento, Alessandra Russo e Paola Vetro, che chiedevano di ripristinare gli arresti domiciliari per i principali indagati dell’inchiesta «Malebranche».

«Non siamo in presenza - avevano scritto i magistrati della Procura nel ricorso - di un’attività estemporanea e occasionale ma ad uno schema sistematico di svuotamento delle imprese e di distruzione della documentazione per occultare il patrimonio».

La Suprema Corte, invece, recependo le tesi difensive degli avvocati Daniela Posante, Giovanni Castronovo, Santo Lucia, Giacinto Paci e Salvatore Falzone (fanno parte del collegio di difesa pure le colleghe Antonella Arcieri e Chiara Proietto), ha affermato che gli arresti non andavano eseguiti, confermando l’ordinanza del tribunale del riesame. A chiedere lo stesso verdetto (con la differenza solo formale del rigetto e non dell’inammissibilità) era stato pure il procuratore generale.

L’ordinanza cautelare era firmata dal gip Luisa Turco ed eseguita dalla Guardia di Finanza il 30 luglio dopo una lunga indagine durata 5 anni. Il sistema ipotizzato dagli inquirenti è quello classico che emerge nei casi di bancarotta: i componenti della famiglia Sferrazza con il supporto della loro commercialista, secondo l’accusa, avrebbero creato delle società - operanti perlopiù nel settore della vendita di casalinghi, giocattoli o articoli per la casa - con l’obiettivo di portarle al fallimento pilotato, facendo sparire i fondi che venivano sottratti a fisco e fornitori. Ai domiciliari erano finiti Gaetano Sferrazza, 78 anni; i figli Gioachino, 54 anni con la moglie Maria Teresa Cani, 54 anni e i figli Gaetano e Fabiana, 29 e 26 anni; Diego, 51 anni con la moglie Giovanna Lalicata, 51 anni e i figli Clelia e Gaetano, 23 e 28 anni e la commercialista Graziella Falzone, 53 anni: quest’ultima avrebbe indicato agli Sferrazza, che gestivano il gruppo di aziende, le soluzioni tecniche da adottare per «svuotarle». Con questo sistema sarebbero stati sottratti a fisco e creditori circa 5 milioni di euro.

Il tribunale del riesame ha annullato l’ordinanza ritenendo insussistente l’accusa di associazione a delinquere senza entrare nel merito dei fatti di bancarotta, ritenuti troppo datati per ritenere attuali le esigenze cautelari e, quindi, giustificare gli arresti. I pm chiedevano che fossero annullate ordinanze e ripristinate le misure cautelari. Il 25 gennaio era stata dichiarata l’inammissibilità per la posizione del solo Diego Sferrazza. Nelle scorse ore, a conclusione dell’udienza, è arrivata la decisione analoga per tutti gli altri indagati. AGI

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