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Comunità degli "orrori" a Licata, chiesto rinvio a giudizio per 8 responsabili

Disabili psichici incatenati e maltrattati, sottoposti a ripetute violenze fisiche e psicologiche. La maxi inchiesta "Catene spezzate", che nel 2015 fece scattare alcune misure cautelari, è approdata in aula per l’udienza preliminare. Il pubblico ministero Chiara Bisso ha chiesto il rinvio a giudizio di otto fra responsabili e operatori di quella che fu ribattezzata come la "comunità degli orrori".

La struttura di accoglienza di Licata, negli anni successivi, finì al centro di un’altra inchiesta - conclusa con i patteggiamenti - su un giro di estorsioni ai danni di dipendenti. Si tratta di Salvatore Lupo, 45 anni, di Favara; Caterina Federico, 37 anni; Angelo Federico, 33 anni; Domenico Savio Federico, 29 anni; Giovanni Cammilleri, 30 anni; Salvatore Gibaldi, 43 anni; Maria Cappello, 50 anni e Angela Ferranti, 53 anni, tutti di Licata.
Uno degli episodi principali al centro dell’inchiesta è stato immortalato dalle telecamere dei carabinieri, piazzate di nascosto dopo essere entrati nella struttura insieme ai pompieri simulando una fuga di gas. Nelle immagini si vede un paziente legato al letto con una catena.

Ed è stato proprio questo episodio a suggerire agli inquirenti il nome del blitz «Catene spezzate» anche se la tesi della difesa (nel collegio gli avvocati Salvatore Manganello, Linda Sabia, Santo Lucia, Antonio Montana, Gaetano Timineri e Domenico Russello) è che la catena sia stata usata «per contenere il disabile ed evitare che commettesse gesti autolesionistici». La procura ipotizza che i disabili sarebbero stati sottoposti a gravi privazioni, fra cui il digiugno forzato e l’isolamento dai familiari, oltre che costretti a stare in ambienti sporchi e fare lavori degradanti come - ad esempio - la pulizia di una cisterna.

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