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Protesta degli eritrei a Lampedusa, notte all'addiaccio

Rifiutano di farsi prendere le impronte digitali

LAMPEDUSA. "Vinceremo, non perché siamo forti, ma perché non c'è altra possibilità", dice Chizoba dopo aver trascorso la giornata di ieri e la notte davanti alla chiesa di Lampedusa, insieme a circa duecento connazionali eritrei e a un piccolo gruppo di sudanesi. Protestano perché non vogliono farsi prendere le impronte digitali.

E proprio ieri la lunga estate siciliana si è interrotta anche nell'isola più a sud d'Europa, dove sono arrivati pioggia, vento e freddo. Il maltempo, però, non preoccupa questo gruppo di migranti giunti in Italia alla vigilia di Natale e ricoverati nel centro d'accoglienza di contrada Imbriacola, che attualmente ospita circa 700 persone.

Da Lampedusa potranno andar via solo dopo aver consentito alle autorità di prendere le loro impronte digitali. Ed è proprio questo il punto: Chizoba e i suoi compagni non hanno alcuna intenzione di adempiere a questo compito: hanno paura che messo il dito sul tampone d'inchiostro ognuno di loro dovrà dire addio al "sogno di andare in Svezia, Inghilterra, Germania", mete che invocano mentre parlano con gli isolani che portano loro cibo e coperte e mentre il parroco Mimmo Zambito li invita a ripararsi in chiesa, rimasta aperta tutta la notte.

Ma loro, come se non volessero violare un luogo sacro, sono rimasti fuori, tranne alcune donne e bambini che nottetempo hanno trovato riparo sotto il portico dell'ingresso. E stamane hanno ripreso la pacifica battaglia, sfilando in corteo, sotto la pioggia, per le vie di Lampedusa; poi si sono radunati di nuovo davanti alla chiesa, sperando di riuscire a rimediare qualcosa da mangiare.

Ieri sera gli isolani avevano fatto il giro di bar e trattorie per racimolare un po' di cibo e qualche thermos di caffè; a pranzo hanno preparato 15 chili di riso e l'hanno distribuito a tutti, cominciando dai bambini. Al centro d'accoglienza il cibo c'è, ma per averlo bisogna tornare lì. Nessuno ha intenzione di farlo. Quando stamane uno dei migranti ha avuto un malore, i loro compagni non volevano che salisse sull'ambulanza per andare al pronto soccorso; temevano che qualcuno gli avrebbero preso le impronte digitali.

Diversamente che in passato, quando le proteste erano rientrate in poche ore, stavolta gli eritrei non hanno alcuna intenzione di retrocedere: "Lo sappiamo che sarà dura, piove e c'è vento; ma dopo quello che abbiamo passato in Libia non abbiamo più paura di nulla. Non crediamo nelle procedure di ricollocamento: alcuni nostri connazionali sono da tre mesi in attesa di trovare un posto dove andare. Certamente non vogliamo finire in Polonia, in Lituania o in Portogallo".

Ieri gli eritrei mostravano scritte in inglese per richiamare l'attenzione, oggi qualcuno le ha tradotte per loro: "Rispettate i nostri diritti", recita un cartello bagnato dalla pioggia.

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