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La procura: "Aggravante del metodo mafioso per Natalello"

AGRIGENTO. Per il pm Matteo Delpini il sessantenne Ignazio Natalello, volto noto in città per il suo ruolo di capo della banda dei cosiddetti "tammurinara" di San Calò, arrestato dai carabinieri venerdì sera con l'accusa di tentata estorsione, agì con "metodo mafioso". Gli atti, almeno per il momento, non sono stati trasmessi alla Dda di Palermo - che sarebbe competente per questo tipo di contestazione - perché il gip Alessandra Vella ha invece ritenuto insussistente l'aggravante.

Natalello, che lunedì mattina, assistito dall'avvocato Daniele Re, durante l'interrogatorio si era avvalso della facoltà di non rispondere, è accusato anche di danneggiamento. L'arresto, qualche ora dopo, è stato convalidato e il giudice ha disposto gli arresti domiciliari confermando la misura alla quale era sottoposto dal momento dell'arresto. Natalello il 15 ottobre avrebbe messo della colla nei lucchetti di quattro esercizi commerciali, poco distanti dalla sua abitazione del Villaggio Mosè, lasciando intendere che si trattasse di un chiaro messaggio mafioso estorsivo. Nei giorni successivi avrebbe contattato telefonicamente e in forma anonima le vittime del danneggiamento chiedendo soldi in cambio di protezione. Col dipendente di uno dei quattro negozi si sarebbe spinto al punto di dire che bisognava fare una colletta per Gerlandino Messina. Una millanteria che in astratto potrebbe anche tradursi, come ha fatto il pm, nella contestazione dell'aggravante del "metodo mafioso" perché rinvigorisce la richiesta estorsiva e il timore visto che le vittime avrebbero potuto anche crederci.

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