Assoluzione per non avere commesso il fatto. Con questo verdetto, ieri pomeriggio, il giudice monocratico Ermelinda Marfia ha scagionato dall'accusa di lesioni colpose il ginecologo del San Giovanni di Dio, Antonio Giovambattista Mollura, finito a giudizio dopo le denunce di una donna che denunciò di avere espulso una garza dalla vagina quaranta giorni dopo il parto. Per questi fatti un collega dello stesso reparto, Raimondo Mondello, è stato già condannato con sentenza definitiva a venti giorni di reclusione.
La terza imputata, l'ostetrica Milena Bonaventura, è ancora sotto processo. Le tre posizioni, per formalità procedurali, sono state trattate separatamente. La giovane madre, secondo la sua versione, dopo un mese e mezzo di dolori e sofferenze avrebbe scoperto il clamoroso errore e consegnato quel che restava del tessuto alla polizia scientifica presentando una denuncia nei confronti dei sanitari. Mollura era accusato di non avere rimosso dall'utero della giovane partoriente la garza che era stata introdotta per tamponare le perdite ematiche provocando dolori e sofferenze che la presunta vittima ha raccontato in aula. La donna si è costituita parte civile ed è stata assistita dall'avvocato Antonino Casalicchio.
"Il 30 marzo del 2007 - ha raccontato al processo - ho partorito mia figlia. In un primo momento sembrava che fosse andato tutto bene. Dopo le dimissioni ho avuto la febbre altissima. I problemi continuavano, avevo dolori allo stomaco, stavo male e avvertivo cattivi odori dalle parti intime". Il 9 maggio successivo la drammatica scoperta. "In bagno ho visto che avevo i resti di una garza. Mia madre è riuscita a toglierla e siamo andati in ospedale. Subito dopo ho presentato querela e ho consegnato il tampone di garza alla polizia". La giovane donna nella sua drammatica testimonianza ha raccontato di avere sofferto di crisi depressive a causa dell'incidente che le impedì di accudire la figlia neonata nelle prime settimane di vita. Il primario del reparto Salvatore Bennici, testimoniando in aula, aveva detto che "a rimuovere la garza, in base al protocollo, deve essere l'ostetrica".
Il pubblico ministero Margherita Licata, nell'udienza precedente, durante la quale è stata celebrata la requisitoria, aveva chiesto la condanna a due mesi di reclusione. Di parere del tutto diverso l'avvocato Arnaldo Faro, difensore dell'imputato, che peraltro aveva messo in dubbio la stessa versione della presunta vittima. "La donna - ha detto durante la sua arringa - prima racconta al pronto soccorso di avere buttato la garza, poi di averla conservata in un involucro di plastica e infine la consegna ai poliziotti. Ma siamo sicuri che si tratta davvero della garza usata per il parto?".
Faro, poi, ha sottolineato un aspetto che probabilmente - le motivazioni della sentenza non sono state ancora scritte - si è rivelato decisivo. "Mollura non aveva partecipato al parto, la circostanza risulta senza dubbio dalle testimonianze e dagli ordini di servizio. Il suo incarico quel giorno - ha aggiunto il legale - era quello di eseguire un'ispezione vaginale successiva alla nascita della bambina e in quel momento, anche se fosse vera la versione della donna, la garza non poteva esserci perché non era scesa dall'utero".
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