
L’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, in collaborazione con la Regione, ha pubblicato il volume Rosario Livatino tra Diritto e Fede, a cura di Gaetano Armao, professore di Diritto amministrativo all’Università di Palermo. Il libro ricorda la figura del «giudice ragazzino», assassinato dalla mafia il 21 settembre 1990, e contiene la tesi in diritto urbanistico regionale che il magistrato discusse nell’aprile dello stesso anno, pochi mesi prima di essere ucciso.
Il volume raccoglie contributi di giuristi, magistrati e rappresentanti istituzionali ed è stato promosso dalla Regione nell’anno in cui Agrigento è Capitale Italiana della Cultura. «In questo anno speciale abbiamo voluto inserire tra le iniziative la pubblicazione della tesi di perfezionamento di Livatino, figura emblematica di una Sicilia che nella legalità e nella cultura del diritto intende trovare il proprio riscatto», ha sottolineato il presidente della Regione Renato Schifani.
«L’impegno professionale e la forza morale del giovane Livatino ne fecero un magistrato motivato, integerrimo e alieno da ogni protagonismo», ha detto Armao, ex vicepresidente e assessore regionale.
Nel libro è riportata anche una frase inedita che Livatino pronunciò il 12 settembre 1983 nell’orazione funebre per il magistrato Elio Cucchiara: «I magistrati possono dividersi in due categorie: quelli che argomentano dicendo che la legge non vieta e allora lo fanno e quelli che argomentano dicendo che la legge non consente e quindi non lo fanno. C’è differenza tra questi due modi di intendere il dovere, una differenza sottile e al tempo stesso abissale, che corre tra l’essere semplicemente operatori del diritto e l’essere operatori di Giustizia».
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