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Favara, «nessuna protezione e ponteggio inadeguato», confermata la condanna a un imprenditore

Mai più morti sul lavoro entro il 2030

«Niente dispositivi di protezione e ponteggio inadeguato a garantire la sicurezza": anche secondo la Cassazione, l’imprenditore Giuseppe Schembri, 70 anni, di Favara (Agrigento), è colpevole della morte dell’operaio Antonio Vitello, 55 anni, anch’egli di Favara, precipitato da un ponte di diciotto metri mentre lavorava in un cantiere al viale Cannatello. La suprema corte ha confermato la condanna a un anno e quattro mesi di reclusione inflitta nei primi due gradi di giudizio che, così, diventa definitiva.

La morte di Vitello è avvenuta il 29 gennaio del 2016. Schembri era il titolare dell’impresa S.C.M. alle cui dipendenze lavorava la vittima. L’imputato era stato incaricato dai proprietari di uno stabile di viale Cannatello di eseguire dei lavori di ripristino dei balconi e dei cornicioni. Nel mirino, in particolare, la cosiddetta piattaforma, vale a dire il ponteggio che è stato usato dall’operaio per salire all’altezza dei cornicioni. Secondo quanto ha riconosciuto il processo, non avrebbe avuto i requisiti di sicurezza. Innanzitutto il piano di calpestio, la cui rottura avrebbe provocato la caduta e la morte dell’operaio, non avrebbe avuto lo spessore necessario.

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della difesa che sosteneva che le sarebbe stato negato indebitamente il diritto di dimostrare l’estraneità dell’imputato attraverso una perizia

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