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Il naufragio del 2013 a Lampedusa, team in Uganda per identificare con il Dna le vittime

Un team del Comitato 3 ottobre si è recato a Kampala, in Uganda, per intervistare e prelevare il Dna alle famiglie di quanti, oltre 12 anni, fa persero la vita nel naufragio del 2013 a Lampedusa. Undici le famiglie coinvolte da Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre, e da un medico legale del Labanof (laboratorio di antropologia e odontologia forense dell’università di Milano).

C'è chi cerca la sorella, chi i figli, chi il fratello, chi la madre. Unico il fil rouge: la disperazione di non sapere che fine abbiano fatto i propri cari. «Ci colpisce la visita a casa di due genitori che cercano il proprio figlio. Hanno la consapevolezza, anche perché era su quell'imbarcazione, di averlo perso nel naufragio, ma è un tormento che va oltre la semplice sofferenza fisica - ricostruisce Tareke Brhane - . Ogni giorno che passa senza una conferma, senza un corpo, alimenta l’incertezza e l’agonia di non sapere dove sia, come sia stato sepolto. Anch’io sono eritreo (ora cittadino italiano) e anch’io ho fatto quel viaggio. Ho speso parte della mia vita ad attraversare il deserto del Sudan, ho conosciuto le prigioni libiche, il mar Mediterraneo in tempesta»

E aggiunge: «So cosa vuol dire aver paura e sperare se mai fossi morto di avere almeno una bara con il mio nome. Negare l’identità di una vittima è come condannare il defunto e la famiglia a un oblio eterno. Non dare ai familiari la possibilità di mettere la parola fine e di avere un luogo in cui ricordare e piangere i propri cari lede i più basilari diritti di ogni essere umano».

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