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La bancarotta di Torre Macauda a Sciacca: indagati anche funzionari Unicredit e un dirigente regionale

Il dipendente pubblico, in cambio dell’assunzione del figlio, avrebbe favorito un imprenditore nei lavori di rifacimento e messa in sicurezza di un costone roccioso franato che si trova all’interno del complesso turistico-alberghiero

L’affare milionario del complesso turistico di Sciacca Torre Macauda finisce al centro di una grande inchiesta della Procura di Palermo e della guardia di finanza, che ieri ha fatto scattare un’operazione sfociata nel sequestro di beni per 30 milioni di euro e sei misure interdittive per un gruppo di imprenditori e professionisti. Gli indagati sono in tutto undici e nei loro confronti sono stati formulati, a vario titolo, i reati di associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta, riciclaggio, autoriciclaggio, corruzione e tentata truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

Gli accertamenti, coordinati dal pool di magistrati guidato dal procuratore aggiunto Annamaria Picozzi, sono sfociati in un’ordinanza firmata dal Gip Carmen Salustro, che ha disposto le misure interdittive ad esercitare attività imprenditoriali e professionali per un anno nei confronti di Luigi Vantaggiato di 71 anni, imprenditore di Foggia, e della durata di dieci mesi per il commercialista palermitano Maurizio Lupo di 64 anni, l’avvocato Fabrizio Morabito di 57, originario di Trapani, consulente legale di Unicredit, Francesco Donà Delle Rose, nato a Roma 51 anni fa ed erede di una nobile famiglia veneziana, Francesco Corvelli di 69 anni, foggiano, Anna Maria Lo Muzio, 70 anni, di Foggia. Contestualmente, il Gip ha disposto il sequestro preventivo della società Libertà Immobiliare srl di Palermo, esercente attività di compravendita di beni immobili, della Crm Servizi srl con sede a Palermo, che si occupa di costruzione di edifici, e della Travel On Demand srl con sede a Foggia. Nel procedimento sono indagati anche un paio di funzionari di Unicredit e un dirigente regionale che, in cambio dell’assunzione del figlio, avrebbe favorito un imprenditore nei lavori di rifacimento e messa in sicurezza di un costone roccioso franato, ricadente all’interno del complesso turistico-alberghiero.

L’inchiesta condotta dai finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo, diretti dal colonnello Gianluca Angelini, e dai militari della compagnia di Sciacca, è stata molto complessa e affonda le radici nel tempo. Gli accertamenti avrebbero permesso di ipotizzare complesse operazioni finanziarie finalizzate alla distrazione di ingenti disponibilità di spettanza delle società che nel tempo avevano detenuto la proprietà del complesso ricettivo, sino a causarne il dissesto e il successivo fallimento. Attuando poi un articolato schema di riciclaggio, che sarebbe stato concordato tra gli imprenditori indagati e dirigenti e consulenti dell’istituto di credito (l’Unicredit, in base alla ricostruzione dell’accusa), il gruppo avrebbe riacquisito la stessa struttura ricettiva che, nel frattempo, era stata messa in vendita mediante asta esecutiva.

Un primo step del disegno criminale è stato l’acquisto di un credito (per circa 28 milioni di euro) vantato dallo stesso istituto bancario nei confronti del gruppo imprenditoriale proprietario del complesso turistico, a fronte del pagamento di soli 4 milioni di euro, utilizzando al riguardo i fondi sottratti alle società fallite. Una seconda fase sarebbe relativa al «riacquisto» della struttura ricettiva, in sede di asta esecutiva, a fronte di un’offerta di circa 8 milioni di euro che il soggetto giuridico aggiudicatario, sempre riconducibile allo stesso gruppo imprenditoriale, non avrebbe interamente pagato all’istituto bancario. In quest’ultimo caso, «sarebbe stato determinante il ruolo di importanti dirigenti bancari che avrebbero falsamente attestato l’avvenuto pagamento nella dichiarazione di quietanza necessaria all’emissione, da parte del giudice dell’esecuzione, del decreto di trasferimento» del complesso turistico. Gli stessi avrebbero impartito le disposizioni di bonifico e quelle relative all’apertura ed alla successiva estinzione dei conti correnti utilizzati per far transitare le somme di denaro distratte dalle società fallite e poi impiegate per finanziare l’acquisto del credito e la «riacquisizione» della struttura, omettendo peraltro ogni adempimento e comunicazione previsti dalla normativa antiriciclaggio».  Come evidenziato dal Gip, «nonostante le operazioni bancarie fossero connotate da sicuri indici di anomalia, non sono state in alcun modo segnalate come sospette, così come invece avrebbe dovuto essere fatto.

Il gruppo criminale sarebbe rientrato in possesso dell’intera struttura ricettiva, a quel punto libera da ipoteche o pendenza e la banca avrebbe monetizzato un credito vantato ormai da decenni e di difficile realizzazione. Le indagini avrebbero fatto emergere gravi violazioni da parte dell’istituto di credito, configurandosi nei confronti dello stesso la responsabilità amministrativa dell’ente, avendo omesso la predisposizione di adeguati modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire i reati di riciclaggio contestati ai propri dirigenti e commessi a vantaggio della banca, così come riportato nel provvedimento cautelare («risulta evidente, invero, come l’illecita operazione in contestazione sia stata realizzata nell’interesse e a vantaggio dell’ente stesso»). Le attività investigative avrebbero, inoltre, disvelato un tentativo di truffa ai danni dello Stato, finalizzato ad accaparrarsi un finanziamento pubblico destinato allo sviluppo delle attività ricettive di circa 1,8 milioni di euro.

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