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Agrigento, il suicidio di Alice dopo gli abusi: il giudice accetta la messa alla prova per i due ragazzi minorenni all'epoca dei fatti

Alice Schembri

Potrebbe estinguersi con la messa alla prova ovvero lo svolgimento di un periodo di lavoro di pubblica utilità in una struttura assistenziale, il reato contestato a due ragazzi di Agrigento accusati di violenza sessuale di gruppo. La vicenda si riferisce a uno dei due processi per il caso di Alice Schembri (nella foto), la ragazza morta suicida a 17 anni, poco meno di due anni dopo essere stata costretta a fare sesso di gruppo mentre venivano filmate le scene.

Il pubblico ministero della Procura presso il Tribunale dei minorenni di Palermo, Massimo Russo, ha chiesto il processo per i due ventiseienni coinvolti nell’inchiesta che, all’epoca dei fatti, fra il 2014 e il 2015, non avevano ancora compiuto 18 anni. Oltre ai due ex minorenni sono coinvolti altri due ragazzi, più grandi di pochi mesi, nei cui confronti ha proceduto la Procura ordinaria di Palermo, essendo sempre stati maggiorenni. Il dibattimento a loro carico è in pieno svolgimento.

Il corpo senza vita della ragazzina fu trovato alla Rupe Atenea, dove si era lanciata nel vuoto dopo avere annunciato il gesto con un lungo e straziante post pubblicato sui social. La squadra mobile, indagando sull’annunciato suicidio, avvenuto il 18 maggio del 2017, dopo avere scartato alcune piste come, ad esempio, quella delle sette sataniche, era risalita ad alcuni video che immortalavano la diciassettenne, due anni prima, con quattro ragazzi, di cui due all’epoca minorenni. I quattro giovanissimi avrebbero abusato delle sue condizioni di inferiorità fisica e psichica «legata al consumo di sostanze alcoliche». Alla ragazza sarebbe stato intimato di restare ferma e non si sarebbero fermati neppure davanti al suo espresso rifiuto avendo la quindicenne, sostiene l’accusa, pronunciato frasi dal contenuto inequivocabile.

Nonostante la ragazza avesse manifestato apertamente il suo dissenso i quattro giovani, a turno, l’avrebbero costretta a subire un rapporto sessuale completo e un rapporto orale mentre la scena veniva filmata con il telefonino. All’accusa di violenza sessuale di gruppo ai danni di minore si aggiunge quella di produzione di materiale pedopornografico. A uno dei due ragazzi allora minorenni si contestava pure la tentata estorsione, perché avrebbe ricattato un’amica, essendo in possesso di una foto dal contenuto sessualmente esplicito, chiedendole prima 200 euro e poi 500 per non diffonderla. Quest’ultima ipotesi di reato, tuttavia, è prescritta.

I due ragazzi, all’epoca diciassettenni, si sono sempre difesi sostenendo di non avere costretto la ragazza a fare sesso, ma di avere avuto con lei un rapporto consensuale. I loro legali, Daniela Posante e Marco Giglio, hanno chiesto la messa alla prova, per arrivare, in caso di superamento, all’estinzione del reato. Il giudice ha acconsentito.

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