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Lampedusa, 18 a giudizio per i reflui fognari finiti in mare senza trattamento: fra loro gli ex sindaci Nicolini e Martello

Saranno processati anche l'attuale responsabile regionale della Protezione civile Salvo Cocina, altri dirigenti e i responsabili della ditta che aveva vinto l'appalto per l'ampliamento del depuratore

Rinviati a giudizio, con l’accusa di avere consentito che i reflui  fognari di Lampedusa finissero in mare senza trattamenti. Gli scarichi dei cinque impianti di sollevamento avrebbero così reso l’acqua del mare dell'isola «estremamente torbida ed emanante un forte odore di fogna». A decidere l’approfondimento dei fatti in dibattimento, per diciotto indagati, è stato il giudice per le udienze preliminari del tribunale di Agrigento, Giuseppa Zampino.

A processo vanno due ex sindaci dell’isola, Salvatore Martello e Giusi Nicolini, i responsabili dell’impresa Nurovi, ditta aggiudicataria ed esecutrice dell’appalto per l’ampliamento dell’impianto di depurazione, ovvero Sonja Nunziatina Cannizzo di 52 anni, Mattia Mondello di 31 ed Emanuele Mondello di 63 anni, il direttore tecnico dei lavori Luigi Fidone, di 47 anni, l’ingegnere Salvatore Stagno, di 51 anni, responsabile unico del procedimento, Marco Lupo, di 53 anni, Maurizio Pirillo, di 60 anni, e Salvatore Cocina, 63 anni, che hanno ricoperto negli anni il ruolo di direttore generale del dipartimento Acque e rifiuti della Regione Siciliana. Cocina è oggi responsabile regionale della Protezione civile. E poi, nella lista degli imputati, Manlio Maraventano di 54 anni, Francesco Brignone di 59, Calogero Fiorentino di 66 anni, responsabili del settimo servizio del Comune di Lampedusa, Felice Ajello, 65 anni, dirigente di settore del dipartimento Acque e rifiuti, Marcello Loria, 67 anni, anch’egli dirigente del dipartimento, Giovanna Taormina, 56 anni, rappresentante di una ditta che si è occupata di smaltimento dei rifiuti in un cantiere; Giuseppe Tornabene, 69 anni, e Giuseppe Dragotta, 62 anni, entrambi direttori dei lavori.

Fra i reati ipotizzati l’abuso di ufficio, l’omissione di atti di ufficio, l’inquinamento ambientale e il danneggiamento. Alcune accuse contestate agli imputati Taormina, Fidone e Cannizzo sono cadute in prescrizione. La contestazione principale è quella di avere consentito, a partire dal 2015, lo scarico dei reflui provenienti dai cinque impianti di sollevamento «non sottoposti ad alcun trattamento, deteriorando il mare». I valori, secondo l’atto di accusa della procura, sarebbero stati superati in maniera «macroscopica».

L’ex sindaco Nicolini, assieme a Maraventano, Stagno, Pirillo, Ajello, Cocina e Loria, risponde di abuso di ufficio perché avrebbe omesso di risolvere il contratto con l’impresa Nurovi. Nessuno dei difensori (fra gli altri gli avvocati Giuseppe Scozzari, Nicola Grillo, Vincenzo Caponnetto e Luigia Di Fede) ha chiesto il giudizio abbreviato e il giudice ha disposto per tutti il rinvio a giudizio: la prima udienza è in programma l’8 ottobre davanti ai giudici della seconda sezione penale di Agrigento.

Nel 2018 Il depuratore di Lampedusa venne sequestrato. Già sei anni prima del sequestro doveva essere sostituito perché insufficiente per le esigenze della popolazione e dei turisti. Ancora prima che venisse attivato quello nuovo, è stato chiuso e la depurazione sarebbe stata affidata a un’improbabile condotta che utilizzava le vasche dei due impianti e, anziché scaricare in mare a due chilometri, provocava sversamenti di liquami a cinquanta metri dalla riva. Con la conseguenza che «i valori fecali nel mare di Lampedusa, nella famosa Porta d’Europa - aveva sottolineato allora il procuratore della Repubblica di Agrigento Luigi Patronaggio - erano superiori di 10 mila volte rispetto al limite di legge». Lo stesso Patronaggio, in occasione della conferenza stampa con cui erano stati illustrati i dettagli del sequestro, aveva aggiunto: «È da tempo che controlliamo la situazione di Lampedusa. Dal 2012 il vecchio depuratore non funziona più. È una situazione che, nel tempo, si è sempre più aggravata, le opere che dovevano essere effettuate non sono state realizzate e oggi abbiamo una situazione di estrema gravità. I batteri fecali presenti in acqua sono 10 mila volte superiori a quelli previsti dalle tabelle. E questo è un dato che ha comportato il sequestro preventivo».

Nella foto, diffusa al momento dell'inchiesta, i sommozzatori mostrano il punto in cui la condotta scaricava in mare i reflui fognari

 

 

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