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Fatture false e costi gonfiati per avere i contributi europei, nei guai 3 imprenditori agricoli di Sciacca

Sono accusati di truffa, frode fiscale e autoriciclaggio. Sequestrati beni per 760 mila euro

Truffa, frode fiscale e autoriciclaggio. Indagine della Procura europea per fatture false e costi gonfiati per conseguire contributi europei per lo sviluppo agricolo. La guardia di finanza di Agrigento ha denunciato tre persone e tre società ed eseguito il sequestro di beni per 760 mila euro disposto dal gip di Sciacca, su richiesta del procuratore europeo delegato di Palermo. Indagati tre imprenditori saccensi e di altrettante società amministrate. I finanzieri hanno esaminato la documentazione fornita a rendiconto delle spese sostenute per la realizzazione di due fabbriche da una azienda attiva nella produzione di olio d’oliva, secondo un progetto d’investimento ammesso a beneficiare di un contributo a fondo perduto pari al 50% dell’importo complessivo, nell’ambito dei fondi stanziati da Unione europea, Stato e Regione per la trasformazione, commercializzazione e sviluppo dei prodotti agricoli. Fari accesi su un contratto di appalto ritenuto dal contenuto palesemente antieconomico, stipulato dalla società beneficiaria del contributo con un’impresa di costruzioni riconducibile a congiunti dell’amministratore.

L’accordo si sostanziava nella fatturazione, in acconto e a stato avanzamento lavori, di opere edili solo in minima parte e per un brevissimo periodo dirette e realizzate dalla società appaltatrice con propri mezzi e maestranze. Quest’ultima, priva di autonomia organizzativa e senza subire il rischio d’impresa, si è limitata a interporsi tra appaltante e reali esecutori dei lavori, emettendo fatture con l’indicazione di costi artatamente gonfiati, se non in alcuni casi totalmente inesistenti, al solo fine di far aumentare l’importo complessivo dell’investimento. Il sistema della presunta frode aveva tre scopi principali: beneficiare di un contributo di importo maggiore, in quanto calcolato sui costi rendicontati; consentire l’evasione delle imposte, mediante l’integrale indebita detrazione dell’Iva esposta nelle fatture emesse dalla società fittiziamente interposta; destinare ad altri scopi gran parte dei capitali utilizzati dall’impresa beneficiaria della frode per il pagamento delle fatture gonfiate. In particolare, si ritiene che 260 mila euro, così fuoriusciti dalle casse della società appaltante, siano stati utilizzati per il saldo di pendenze debitorie a carico di altra impresa riconducibile agli indagati, per evitarne l’escussione del patrimonio personale. L’esecuzione del provvedimento ha consentito di sottoporre a sequestro denaro, beni immobili e altre disponibilità finanziarie per circa 760 mila euro, ai fini della successiva eventuale confisca.

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