Schiaffi, pugni, violenze, gelosia ossessiva e minacce con un coltello: un trentasettenne di Siculiana, nell’agrigentino, finisce a processo per le accuse di maltrattamenti, lesioni aggravate e minacce ai danni della compagna e del suocero. Davanti ai giudici della prima sezione penale del tribunale, presieduta da Alfonso Malato, ha deposto la sorella della presunta vittima, originaria di Milano, che ha confermato di avere raccolto, per circa tre anni, le confidenze della sorella. La donna sarebbe stata maltrattata, anche in presenza della figlia minorenne, e sarebbe stata costretta a subire la gelosia ossessiva dell’uomo che l’avrebbe obbligata a cancellarsi dai social, cambiare tre volte numero di telefono e non contattare nessuno senza il suo consenso. «Qui non sei a Milano che puoi fare quello che vuoi... la prossima volta che parli con un timpuluni (schiaffi, ndr) ti faccio cadere i denti....». Queste e altre frasi di insulto sarebbero state pronunciate all’indirizzo della donna insultata ed etichettata come «pazza».
Lunghissima la lista delle presunte vessazioni: dalla scarpa tirata contro il volto, alla pretesa (assecondata) di consegnargli 2mila euro. La donna, dopo che era rimasta incinta, sarebbe stata costretta a restare in casa per giorni durante i quali avrebbe provato a convincerla ad abortire. La situazione sarebbe persino peggiorata dopo il parto: l’imputato avrebbe danneggiato gli ornamenti allestiti in casa per l’accoglienza della bimba e avrebbe impedito di fare una passeggiata col bambino e suo padre. Lo stesso suocero, in una circostanza, sarebbe stato minacciato con un coltello.
Nello stesso giorno, ovvero il 4 dicembre del 2021, la compagna sarebbe stata scaraventata con violenza contro lo stipite della porta. Un’altra ipotesi di lesioni aggravate, risalente ad alcune settimane prima, scaturisce dai calci e dai pugni che le avrebbe dato al volto e nelle braccia. Al processo, giunto alle battute iniziali, la sorella della vittima, rispondendo al pm Gaspare Bentivegna e al difensore dell’imputato, l’avvocato Davide Casà, la teste ha raccontato le violenze e le vessazioni alle quali, comunque, non avrebbe assistito in prima persona
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