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Mafia, il tentato omicidio in Belgio: condannato ex pentito favarese

I giudici della Corte di appello di Palermo hanno riformato in parte la sentenza del processo per l’agguato a colpi di pistola ai danni del ristoratore Saverio Sacco, di Porto Empedocle

Condanna confermata per tentato omicidio e assoluzione, per l’altro imputato, per l’accusa di detenzione di armi e ricettazione. I giudici della Corte di appello di Palermo hanno riformato in parte la sentenza del processo per l’agguato ai danni del ristoratore Saverio Sacco, di Porto Empedocle, avvenuto il 28 aprile del 2017 a Grace Hollogne, in Belgio, a colpi di pistola. In primo grado, il 21 maggio del 2021, il gup di Agrigento, Luisa Turco, ha inflitto 5 anni e 4 mesi di reclusione al mancato collaboratore di giustizia Mario Rizzo, 37 anni, di Favara, che si era autoaccusato della vicenda. Assolto dalla stessa accusa il cognato Gerlando Russotto, 34 anni, anche lui di Favara, condannato a 1 anno e 10 mesi per l’accusa di detenzione di armi. Il 2 agosto del 2018 erano scattati gli arresti sulla base delle dichiarazioni dello stesso Rizzo. Il favarese, coinvolto in vicende criminali spicciole, iniziò un lungo e travagliato percorso di collaborazione con gli inquirenti. Il primo passaggio fu quello di autoaccusarsi del tentato omicidio in Belgio, tirando in ballo il cognato e l’empedoclino Salvatore Prestia.

Proprio quest’ultimo, cognato del mafioso Fabrizio Messina, sarebbe stato il mandante dell’agguato - in realtà un avvertimento, secondo il suo racconto, perché lo avrebbero gambizzato ma non ci sarebbe stata l’intenzione di ucciderlo - in quanto Sacco, secondo la sua iniziale versione, aveva subito una perquisizione della polizia belga e avrebbe raccontato dei suoi sospetti su Prestia, ritenuto l’autore della denuncia. Un affronto per l’empedoclino legato alla storica famiglia mafiosa del rione Cannelle che doveva essere vendicato sparandogli alle gambe perché era stato preso per «infame».

Rizzo fece anche trovare delle armi in un sottotetto condominiale ritenuto riconducibile a Russotto che, in primo grado, è stato condannato solo per questa imputazione. Nel piccolo arsenale anche un fucile rubato alcune settimane prima alla polizia provinciale. Quando il suo inserimento nel programma di protezione fu definitivamente bocciato, per la scarsa consistenza delle sue dichiarazioni, è arrivata la ritrattazione. «Mio cognato non c'entra nulla, mi sono inventato tutto. Ho saputo dell’agguato dallo stesso Sacco che mi disse che era stato Prestia a sparargli».

Questo il racconto di Rizzo. Due versioni inconciliabili alle quali il gup non ha creduto aderendo, però, quasi integralmente al primo racconto. Rizzo, che per questi fatti non è sottoposto ad alcuna misura cautelare, da alcune settimane risulta irreperibile. Il processo di appello si è, comunque, concluso e i giudici hanno accolto il ricorso del difensore di Russotto, l'avvocato Salvatore Cusumano, Rizzo è assistito dal legale Ninni Giardina, disponendo l’assoluzione per l’accusa di armi.

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