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L'ex avvocato Angela Porcello, che parla con i magistrati, nello stesso carcere della sorella di Messina Denaro: chiesto e ottenuto il trasferimento

La professionista di Canicattì, condannata in primo grado a 15 anni e 4 mesi, non ha mai ottenuto lo status di collaboratore di giustizia. Tuttavia, si è ritenuto che nel penitenziario di Santa Maria Capua Vetere fosse in pericolo

L'esterno del carcere di Santa Maria Capua Vetere (foto di Cesare Abbate/Ansa)

La detenzione nello stesso carcere di Rosalia Messina Denaro, arrestata poche settimane dopo la cattura del fratello Matteo, e dell’ex avvocato Angela Porcello, non è opportuna per motivi di sicurezza. Il Dap, su segnalazione della procura generale di Palermo, a sua volta sollecitata dal legale dell’ex professionista, l’avvocato Giuseppe Scozzari, ha disposto l’immediato trasferimento, avvenuto nei giorni scorsi, della cinquantenne dal carcere di Santa Maria Capua Vetere (nella foto) a quello di Piacenza. L’ormai ex avvocato Angela Porcello, condannata a 15 anni e 4 mesi di reclusione con l’accusa di essere stata la consigliori del mandamento mafioso di Canicattì, in totale sinergia col compagno Giancarlo Buggea, imprenditore mafioso arrestato per la seconda volta insieme a lei il primo febbraio del 2021, fin dai primi giorni di detenzione ha avviato un colloquio con la Dda.

La professionista avrebbe voluto collaborare, ma i magistrati hanno bocciato le sue dichiarazioni come inconsistenti. La conseguenza è che non è scattata alcuna misura di sicurezza nei suoi confronti. Il Dap, tuttavia, ha ritenuto di sottoporla a un regime di particolare precauzione previsto per detenuti potenzialmente a rischio, quali, ad esempio, i collaboranti che possono essere visti non di buon occhio dagli altri detenuti. Un sostanziale isolamento dovuto anche al fatto che, nei suoi pochi spostamenti all’esterno della cella del carcere, sempre accompagnata dalla polizia penitenziaria, ha ricevuto insulti e minacce dalle altre detenute che l’hanno vista passare.  Nei giorni scorsi l’ex professionista sarebbe venuta a sapere che la sorella di Matteo Messina Denaro era detenuta nel suo stesso carcere. «Fragolone», questo era il nome in codice utilizzato dal boss nei pizzini rivolti alla sorella Rosalia, avrebbe gestito non solo la cassa del clan, ma secondo la procura, si sarebbe occupata proprio dello smistamento dei messaggi tra il mafioso e gli altri affiliati.

Angela Porcello, personaggio principale dell’inchiesta antimafia «Xidy», nei giorni scorsi ha chiesto il concordato di pena. Si tratta di un accordo tra le parti che, se accolto, prevede una riduzione della pena in cambio della rinuncia di parte dei motivi di Appello. Per procedere al concordato ci deve essere il parere favorevole della Procura generale di Palermo. La richiesta è stata formulata tramite l’avvocato Scozzari lo scorso 24 novembre, durante l’udienza del processo di secondo grado scaturito dall’operazione dei carabinieri del Ros che ha fatto luce sul mandamento mafioso di Canicattì e sulla riorganizzazione della Stidda in provincia di Agrigento. Sul banco degli imputati ci sono 13 persone tra cui l’ex avvocato Angela Porcello, penalista condannata in primo grado a 15 anni e 4 mesi poiché ritenuta membro di spicco della mafia canicattinese.

L’operazione, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, scattò nel febbraio di due anni fa. In quell’occasione furono arrestati i vertici dell’intero mandamento, poliziotti e anche l’avvocato Angela Porcello, ritenuta la cassiera del mandamento. L’indagine coordinata dai magistrati della Dda di Palermo Paolo Guido, Claudio Camilleri, Gianluca De Leo e Francesca Dessì, oltre ad aver fatto luce sulle dinamiche interne al mandamento mafioso di Canicattì, ha anche puntato un faro sui componenti della nuova Stidda che avrebbe un forte radicamento a Canicattì e Palma di Montechiaro e che si sarebbe contrapposta alla famiglia di Cosa Nostra. Ipotizzate anche una serie di estorsioni, in particolare nel settore delle mediazioni agricole. Nove, invece, gli imputati che seguono il rito ordinario. Il processo è ancora fermo al giudizio di primo grado davanti alla seconda sezione penale del tribunale di Agrigento: Giuseppe Falsone, boss ergastolano di Campobello di Licata e capo provinciale di Cosa nostra; Antonino Chiazza, 51 anni, di Canicattì; Pietro Fazio, 48 anni, di Canicattì; Santo Gioacchino Rinallo, 61 anni di Canicattì; Antonio Gallea, 64 anni di Canicattì; Filippo Pitruzzella, 60 anni; Stefano Saccomando, 44 anni di Palma di Montechiaro; Calogero Lo Giudice, 47 anni di Canicattì; Calogero Valenti, 57 anni, residente a Canicattì.

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