«Ci siamo aggrappati alle camere d’aria, lo hanno fatto anche tanti altri dopo che il barchino s’è capovolto a causa di una violentissima onda. Ma con il passare del tempo, forse ore, abbiamo visto i nostri compagni di viaggio prima allontanarsi, trasportati dalle forti correnti del mare, e poi sparire. Alcuni li abbiamo visti venire inghiottiti dalle onde».
I quattro superstiti dell’ennesimo naufragio che si sarebbe consumato davanti alla Libia - due ragazzi e una ragazza minorenni e non accompagnati e un uomo adulto provenienti da Guinea e Costa d’Avorio - sono ancora impauriti e sotto choc quando, una volta in salvo a Lampedusa, raccontano il loro incubo.
Ma le parole dei quattro sopravvissuti non hanno al momento riscontri tra le autorità italiane e, soprattutto, non convincono del tutto diversi soccorritori, che ritengono che le loro condizioni siano incompatibili con giorni in acqua senza cibo. Ad ascoltarli, con l’assistenza e il supporto degli operatori della Croce Rossa italiana che si occupa della gestione del centro di primissima accoglienza di contrada Imbriacola, sono i poliziotti della squadra mobile della Questura di Agrigento. Agenti che nei prossimi giorni - passato lo choc - li sentiranno di nuovo: i loro racconti sono infatti confusi e pieni di lacune ed è evidente che i quattro hanno paura di parlare.
Secondo quanto hanno raccontato finora, erano partiti dalla Tunisia e viaggiavano assieme ad altre 41 persone, tra le quali non c’erano né familiari né loro parenti: «Solo più conoscenti e amici - dicono - . Siamo partiti giovedì da Sfax». Alcuni di loro hanno detto di essere partiti alle 16 e che il barchino s’è capovolto dopo circa 6 ore di navigazione. Ma altri hanno invece parlato di giovedì sera quale momento in cui la carretta ha preso il largo e che il naufragio è avvenuto durante la notte, forse di venerdì.
Dopo diverse ore passate in acqua aggrappati alle camere d’aria, hanno spiegato ancora i quattro sopravvissuti, «abbiamo visto una barca di ferro vuota e l’abbiamo raggiunta. Eravamo in dieci». Ma su che fine abbiano fatto gli altri sei migranti che sarebbero saliti sul barchino trovato alla deriva e senza motore, i naufraghi non sono stati in grado finora di spiegarlo. Torneranno dunque ad essere ascoltati anche nelle prossime ore, per cercare di colmare i buchi del racconto.
Amnesie che potrebbero essere dettate dai timori nei confronti di chi ha organizzato e gestito la traversata. «Sono provati e credo che abbiano anche dei timori a parlare» ha confermato Ignazio Schintu, vice segretario generale della Croce rossa italiana.
Il naufragio, solo 15 avevano un salvagente
I naufraghi sono stati salvati, nelle acque antistanti a Zuwara in Libia, dalla nave, battente bandiera maltese, bulk carrier «Rimona».
Né l’equipaggio del mercantile, né i militari della motovedetta Cp327 della Guardia costiera, sulla quale i superstiti sono stati trasbordati, hanno avvistato cadaveri dei compagni di viaggio perchè i quattro sono stati soccorsi ieri, dopo più giorni dal naufragio e molto distante dal punto in cui si sarebbe consumata la tragedia.
I naufraghi hanno raccontato ai militari della Guardia costiera prima, e ai poliziotti della squadra mobile di Agrigento poi, di essere partiti da Sfax in 45, fra cui 3 bambini, alle 10 di giovedì. Il loro barchino si sarebbe capovolto per le onde e sarebbe affondato. Tutti i migranti - stando a quanto riferito dai superstiti - sono finiti in mare. Solo in 15 avevano un salvagente, ma, con il passare delle ore, sono annegati. I sopravvissuti, 3 minorenni non accompagnati e un uomo adulto, hanno riferito di essere rimasti per diverse ore in acqua, aggrappati a delle camere d’aria, almeno fino a quando non sono riusciti ad avvicinarsi e a salire su una barca in ferro, senza motore, verosimilmente abbandonata dopo un trasbordo di altri migranti. Sulla carretta sono rimasti alla deriva, trasportati dalla corrente - stando alle confuse dichiarazioni dei naufraghi - per circa 3 o 4 giorni.
Ad avvistarli e localizzarli ieri è stato l’assetto aereo Frontex «Eagle2» che ha fatto scattare i soccorsi. La Capitaneria di porto ha attivato la Guardia costiera libica, perché il natante con i 4 sopravvissuti nel frattempo era finito al largo della Libia, ma nessuno è intervenuto. Le motovedette italiane si sono dunque spostate fino al largo delle acque di Zuwara dove i quattro erano stati, nel frattempo, messi in salvo dalla nave bulk carrier «Rimona».
L'inchiesta ad Agrigento
Il procuratore capo facente funzioni di Agrigento, Salvatore Vella, ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e morte quale conseguenza di altro reato. Stessi reati ipotizzati nell’inchiesta che viene portata avanti per il doppio naufragio, verificatosi nel pomeriggio di sabato scorso, a circa 23 miglia Sud-Ovest da Lampedusa. Allora i dispersi furono 33 e 2 le salme recuperate: una donna e un bambino di un anno e mezzo, entrambi ivoriani, recuperati dalle motovedette della Capitaneria che hanno tratto in salvo 57 ivoriani, gambiani, malesi e senegalesi.
Oltre 1800 morti lungo la rotta del Mediterraneo dall'inizio del 2023
Di «assoluta mancanza di scrupoli dei trafficanti che fanno partire i migranti con il mare in tempesta, esponendoli ad altissimo rischio di morte in mare» hanno parlato Unicef, Oim e Unhcr.
Secondo il Missing migrants project dell’Oim dall'inizio del 2023 sono già oltre 1.800 le persone morte e disperse lungo la rotta del Mediterraneo centrale. «Tutto ciò è inaccettabile e, in gran parte, evitabile: l’Italia e l’Europa si assumano la responsabilità di creare un sistema coordinato e strutturato di ricerca e soccorso in mare per salvare la vita delle persone e aprano canali sicuri e legali di ingresso», ha scritto invece Save the Children. L’ex sindaco delle Pelagie, Giusi Nicolini, punta il dito contro il Governo: «Mi chiedo quante di queste vite inghiottite dal mare avrebbero potuto salvarsi senza l’accanimento contro le navi delle Ong».
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