Era l’11 ottobre del 2013 quando al largo di Lampedusa morirono 268 persone, tra cui 60 bambini: erano a bordo dell’ennesimo barcone naufragato sul quale c'erano, secondo i racconti dei sopravvissuti, tra le trecento e le quattrocento persone. Poghi giorni prima, il 3 ottobre, data ormai impressa nella memoria di tutti, c'era stato l'altro naufragio, con 368 vittime. A distanza di 9 anni da quello che per tutti è diventato il «naufragio dei bambini» si chiude il processo ai due imputati rimasti alla sbarra, Leopoldo Manna e Luca Licciardi, rispettivamente all’epoca dei fatti responsabile della sala operativa della guardia costiera e comandante della sala operativa della squadra navale della Marina: la seconda sezione penale del tribunale di Roma ha dichiarato estinti i reati per intervenuta prescrizione nei confronti dei due ufficiali, nei confronti dei quali la procura aveva comunque chiesto l’assoluzione il mese scorso perché «il fatto non sussiste».
Le accuse nei confronti di Manna e Licciardi erano di omicidio colposo e rifiuto d’atti d’ufficio e l’indagine fu avviata in relazione a presunti ritardi nei soccorsi: nel 2017 la procura aveva chiesto la sua archiviazione, ma il gip si era opposto. I due ufficiali erano accusati di aver ritardato l'intervento della nave militare italiana Libra, che si trovava a poca distanza dalla zona in cui si verificò il naufragio. Si parlò di un «buco» di 45 minuti nella decisione di intervento delle autorità italiane.
I superstiti raccontarono di aver chiamato diverse volte la guarda costiera ma che «le autorità italiane erano convinte che la competenza fosse maltese». Secondo la ricostruzione dei magistrati di piazzale Clodio, la segnalazione da parte delle autorità di Malta - che in un primo momento si erano assunte l’onere del soccorso - agli omologhi italiani era arrivata alle 16.22. E alle 17.07 l'imbarcazione si capovolse. Così la procura di Roma, lo scorso 4 ottobre, aveva chiesto l’assoluzione per Manna e Licciardi. Per i pm non c'era stata «la volontà degli imputati» di causare la morte dei migranti. Da parte dei due ufficiali, hanno affermato i pm nella requisitoria, non c'è stato «alcun dolo. Le procedure, seppur farraginose dell’epoca, sono state rispettate» e «i due ufficiali non si sono disinteressati e hanno compiuto le procedure previste all’epoca».
Nel racconto fatto dalle famiglie delle vittime, il peschereccio, al momento del naufragio, si trovava a circa 50 miglie nautiche a sud di Lampedusa e a 180 da Malta. Si ribaltò dopo avere imbarcato acqua. Era stato, infatti, attaccato da una motovedetta libica che sparò diverse raffiche di mitra. L'imbarcazione capovolta, i corpi dei bambini che galleggiavano, le mani in alto in segno d’aiuto: questo aveva ricostruito Mohanad Jammo, medico anestetista siriano che nel naufragio perse due figli, uno di 5 anni e l’altro di 9 mesi.
«Le modalità con cui è avvenuto il naufragio non hanno permesso di stabilire un bilancio ufficiale, c'è un deficit di conoscenza sul numero dei morti, sulle cause e sulla riconducibilità al presunto ritardo. Nave Libra non sarebbe potuta arrivare prima», avevano spiegato i rappresentanti dell’accusa nel corso della requisitoria lo scorso 4 ottobre. Oggi, dopo due mesi, le accuse ai due ufficiali sono state prescritte.
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