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Agrigento, inchiesta Campione. Il legale Ahmed: «Di lui non mi fido più, ecco quello che so»

Marco Campione

«Si è comportato da codardo, non mi fido più di quell'uomo». Ad Agrigento l’avvocato Omar Giampaolo Mohamed Ahmed, 42 anni, ex fedelissimo dell’imprenditore Marco Campione, che lo aveva messo a capo dell’ufficio legale di Girgenti Acque, affidandogli diversi incarichi di rilievo, si presenta in procura e rilascia dichiarazioni spontanee. Il professionista, che ha annunciato di volere rinunciare al mandato difensivo, ricostruisce un decennio di collaborazione con le società del gruppo Campione e rivela alcuni particolari inediti. Difficile parlare di collaborazione, visto che non è indagato e che non rivela fatti che pare possano portare oltre quanto si è già appreso nella lunga indagine.

Mohamed Ahmed, che sostiene di essere creditore di Campione di oltre 170 mila euro, in parte compensati con una fornitura di materiale elettrico di 50 mila euro per la sua villa, dopo avere tentato di riscuotere le parcelle, avviando una serie di interlocuzioni formali, nelle scorse settimane si è presentato nella stanza del procuratore facente funzioni Salvatore Vella chiedendo di volere rilasciare dichiarazioni spontanee nell’ambito dell’inchiesta Waterloo relativa a un «sistema» costruito attorno alla figura di Marco Campione, ex presidente della società che gestiva il servizio idrico nell’Agrigentino prima del commissariamento dovuto all’interdittiva antimafia.

Provvedimento che, in un primo momento, secondo quanto ipotizza l’accusa, sarebbe stato evitato dalla compiacenza dell’ex prefetto Nicola Diomede che, domani mattina (6 maggio), comparirà insieme ad altre 46 persone, davanti al gup, Micaela Raimondo, che dovrà decidere se rinviarlo a giudizio per le accuse di concorso esterno in associazione a delinquere e abuso di ufficio. Della rete di Campione - la cui esistenza, sul piano indiziario, è stata in parte esclusa dal tribunale del Riesame che ha scarcerato gli indagati - avrebbero fatto parte uomini delle istituzioni, professionisti e forze dell’ordine. Tutti in fila, sostiene l’accusa, a chiedere assunzioni e favori in cambio di asservimenti professionali o istituzionali. Da collaboratore del gruppo a capo dell’ufficio legale, l’ascesa del giovane avvocato che adesso parla con i pm. Mohamed Amed racconta che nelle imprese del gruppo Campione, nel 2013, è stato inizialmente assunto come collaboratore, spinto da una sua amica che lo aveva proposto, fino ad arrivare a dirigere, appena 3 anni più tardi, l’ufficio legale di Girgenti Acque e assumere la difesa personale di Campione in pressoché tutti i procedimenti insieme ad altri professionisti.

Dipendenti del gruppo «spiati» e «raccomandati costretti a lavorare». Nelle otto pagine di verbale - sottoscritto con il procuratore Vella, i pm Sara Varazi e Paola Vetro e un team di investigatori di cui ha fatto parte anche il capo della Dia Roberto Cilona - l’avvocato parla di un particolare sistema di controllo dei dipendenti che, in sostanza, sarebbero stati tutti monitorati per verificare se avessero i requisiti di integrità morale per lavorare alle dipendenze di Campione. «La moglie di Campione - rivela - mi chiese di contattare un investigatore privato. Ne selezionai uno che veniva pagato attorno ai 30-35 euro a pratica. Se gli accertamenti fossero stati necessari avrei comunicato all’ufficio che il personale da assumere non aveva i requisiti morali. Ricordo che lo screening fu fatto da me su tutti i dipendenti e collaboratori già assunti».

Il professionista, inoltre, rivela: «I raccomandati di turno da parte di Campione erano comunque costretti a lavorare anche se credevano di prendersi lo stipendio senza faticare». Ahmed rivela che un suo collega avvocato, in un primo momento indagato e intercettato, gli chiese un incontro con Campione. L’ipotesi, almeno inziale, è che la richiesta arrivasse dall’allora prefetto Nicola Diomede che, in sostanza, avrebbe volutamente salvato Girgenti Acque omettendo, in maniera illecita di adottare l’interdittiva antimafia. «Non parlarono in mia presenza e non seppi mai il contenuto del colloquio fra il collega e Campione». Lo stesso, aggiunge, «non mi metteva al corrente di certe dinamiche che ho appreso poi».

Il credito di 170 mila euro e i rapporti incrinati. L’avvocato rivela di avere consigliato a Campione, dopo l’arresto, di «mettersi a disposizione dell’autorità giudiziaria». L’imprenditore fece una scelta diversa, ascoltando il consiglio dell’altro difensore. «I rapporti fra me e Campione - dice il professionista - si sono raffreddati circa due mesi fa. Sono creditore di circa 170 mila euro che ho provato a riscuotere dai fratelli che amministrano le società del gruppo». Campione, in sostanza, non avrebbe avallato il saldo delle sue parcelle tanto da arrivare alla conclusione di volere interrompere ogni rapporto. «Gli voglio bene - conclude al secondo interrogatorio - ma di quell'uomo non mi fido più».

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