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Mafia, la Cassazione conferma il 41 bis per il boss agrigentino Falsone

Giuseppe Falsone

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della difesa e confermato il decreto di applicazione del regime del 41 bis, firmato al ministro della Giustizia e confermato dal tribunale di sorveglianza di Roma, nei confronti di Giuseppe Falsone, catturato dalla polizia a Marsiglia, il 25 giugno del 2010, dopo oltre un decennio di latitanza, conclusa con la fuga all’estero.

Secondo la Suprema Corte il rischio di contatti con l’esterno è ancora elevato e necessita di ulteriori restrizioni in ambito penitenziario. Falsone, quando fu arrestato, era a capo di Cosa Nostra agrigentina e, secondo gli inquirenti, era il numero due in Sicilia, per spessore e prestigio criminale, conquistato sul campo contro il suo grande rivale, il racalmutese Maurizio Di Gati, che fu pure costretto a ritirarsi e collaborare con la giustizia dopo l’omicidio del suo braccio destro Carmelo Milioti, assassinato mentre era dal barbiere.

Nel maxi processo Akragas Falsone fu condannato all’ergastolo per l’omicidio dello stiddaro Salvatore Ingaglio che, tredici anni prima, gli aveva ucciso il padre e il fratello. Il tribunale di sorveglianza di Roma, nelle scorse settimane, aveva rigettato la richiesta sostenendo che "il rischio di contatti con l’esterno è ancora sussistente". Il suo legale Angela Porcello si era rivolta alla Cassazione dove, giovedì mattina, si è tenuta l’udienza per discutere il ricorso. Nelle scorse ore è stato depositato l’esito che conferma l’applicazione del regime del "carcere duro" che prevede particolari restrizioni nella socialità all’interno del carcere e nei colloqui con l’esterno.

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