«Da anni ha mostrato di avere reciso ogni legame con Cosa Nostra, nessuna indagine ha fatto sospettare dell’esistenza di contatti con l’organizzazione criminale»: la difesa del boss Giuseppe Falsone, catturato dalla polizia a Marsiglia, il 25 giugno del 2010, dopo oltre un decennio di latitanza, conclusa con la fuga all’estero dove si era rifatto una vita, prova a chiedere la revoca del 41 bis al quale, ininterrottamente, è sottoposto da un decennio.
Il tribunale di sorveglianza di Roma, nelle scorse settimane, ha rigettato la richiesta sostenendo che «il rischio di contatti con l’esterno è ancora sussistente». Il suo legale Angela Porcello ci riprova in Cassazione dove, nelle scorse ore, si è tenuta l’udienza per discutere il ricorso. La decisione è attesa a breve.
Falsone, quando fu arrestato, era a capo di cosa nostra agrigentina e, secondo gli inquirenti, era il numero due in Sicilia, per spessore e prestigio criminale, conquistato sul campo contro il suo grande rivale, il racalmutese Maurizio Di Gati che fu pure costretto a ritirarsi e collaborare con la giustizia dopo l’omicidio del suo braccio destro Carmelo Milioti, assassinato – pare – dallo stesso Falsone, dal barbiere, per dargli un segnale.
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