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Agrigentini in prima linea al Nord, le storie di chi ha deciso di non tornare

Forse, in discussione non dovrebbe essere soltanto il treno della notte del 7 marzo, quello per la fuga da Milano, ma anche quello mai preso prima, e che avrebbe potuto far rialzare la forza-lavoro siciliana.

L'esodo dell'altra settimana, e non solo, che ha ripopolato il Sud, insieme agli assembramenti in località balneari o in mega aperitivi ‒ ha allertato Silvio Brusaferro dell'Istituto superiore di sanità ‒ potrebbero provocare verosimilmente un picco di nuovi contagiati da coronavirus. Ma tanti sono i meridionali che restano, e resistono, con abnegazione, nelle trincee ospedaliere del settentrione.

Il policlinico San Matteo di Pavia, dov'è stato curato il «paziente 1», è il centro di riferimento regionale per la diagnosi del nuovo coronavirus. «Gli ammalati di Covid-19 hanno bisogno della nostra assistenza, non soltanto nell'igiene personale. Siamo a stretto contatto con loro ma in sicurezza». Martina ha 26 anni, è un'altra siciliana fuori sede ma qui è un operatore socio-sanitario. «La mia prima preoccupazione è bensì per i miei familiari in Sicilia», dice la giovane. «Sono via da sei anni. Con l'emergenza in corso, avrei potuto decidere di tornare a casa. Ho deciso di restare, pur lavorando da precaria».

L'articolo nell'edizione di Agrigento del Giornale di Sicilia

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