«Le indagini si sono indirizzate subito sull'imputato perché è stata la stessa vittima a dirci che a sparargli era stato suo cognato, lo abbiamo cercato per alcune ore fino a quando si è presentato lui stesso in commissariato dicendo che voleva denunciare l'incendio del proprio furgone». Il vice questore Cesare Castelli, attuale dirigente del commissariato di Canicattì e all'epoca dei fatti, la notte fra il 4 e il 5 aprile del 2013 a capo di quello di Porto Empedocle, racconta in aula le prime battute dell'indagine. Il processo è quello a carico del pescivendolo Giovanni Tuttolomondo, 49 anni, cognato di Libertino Vasile Cozzo, 42 anni, destinatario - sostiene l'accusa - dei colpi di arma da fuoco dell'imputato. «È stato da subito il principale sospettato, erano noti i contrasti con Vasile Cozzo». Castelli ha ricostruito i concitati momenti di quella notte. I giudici della prima sezione penale presieduta da Alfonso Malato, in una delle udienze precedenti, sollecitati da un'eccezione della difesa dell'imputato, affidata all'avvocato Salvatore Pennica, hanno disposto l'estromissione dal fascicolo di alcune prove e, in particolare, di una consulenza medico legale e di un filmato di videosorveglianza che sarebbero stati acquisiti «in assenza delle garanzie difensive previste dal codice». L'articolo completo nell'edizione di Agrigento, Caltanissetta ed Enna del Giornale di Sicilia di oggi.