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"Così perderò la mia casa": il disperato appello dell'imprenditore agrigentino Cutrò

Quando lo Stato presenta il conto non c'è nessuno che possa salvarsi. Nemmeno chi ha denunciato i mafiosi, mandando in carcere gente senza scrupoli che chiedeva il pizzo alle aziende sane ed oggi rischia anche la vita perché quello stesso Stato lo ha «scaricato».

È successo ancora una volta ad Ignazio Cutrò, l'imprenditore di Bivona, ideatore dell'associazione «Testimoni di giustizia» che dopo aver fatto scattare importanti operazioni antimafia si è visto «smontare» le telecamere di videosorveglianza collegate con la caserma dei carabinieri che lo Stato aveva fatto installare per proteggerlo quando doveva testimoniare e far condannare i mafiosi o presunti tali. Ieri l'ennesimo episodio.

È stato raccontato dallo stesso Cutrò. «È passato un ragazzo, pensavo venisse a trovarci per un caffè, invece era il postino della Riscossione Sicilia: entro 5 giorni da pretendono circa 39.000 euro, cioè parte di un debito, accumulato dai miei debiti con gli organismi dello Stato, mentre la mafia mi danneggiava e attaccava l'azienda, ora passata in mano loro per la riscossione coatta. Sono passati vent'anni dal lontano 1999 quando denunciai il primo attentato. Poco tempo fa le banche, ora Riscossione Sicilia, una “sentenza” annunciata già da tempo ai piani alti. Denunci la mafia, lo Stato ti “protegge”, cerca di assisterti ma una volta mancano le norme, un'altra l'uomo delle istituzioni che tratta una pratica o dimentica di evaderla».

L'articolo nell'edizione di Agrigento del Giornale di Sicilia

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