PALERMO. “Un’operazione antimafia storica per la provincia di Agrigento”. Così ha esordito il procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi, iniziando a descrivere i contorni dell’operazione “Montagna”.
Anche i numeri sono imponenti. Sono 63 gli indagati, di cui 46 custodie cautelari in carcere, 11 ai domiciliari, quattro obblighi di firma alla polizia giudiziaria e due ricercati all’estero. La Dda ha disposto il sequestro preventivo di sette società operanti nei settori edili e del movimento della terra, in quelli delle scommesse e della distribuzione delle slot machines, per un valore complessivo di un milione di euro. Le indagini sono partite nel 2013.
Il procuratore aggiunto Paolo Guido ha sottolineato che: “Emerge uno spaccato sociologico relativo a una ortodossia che ci riporta a 40 anni fa”. I mafiosi agrigentini si definiscono il fiore all’occhiello di cosa nostra siciliana. Inoltre rivendicano il venir meno a Palermo di personaggi affidabili. Così ha spiega Lo Voi: “Vengono inoltre rimpianti vecchi personaggi di cosa nostra. Ma nonostante tutto gli agrigentini continuano a mantenere rapporti lo stesso con i palermitani. Anche se rimangono affidabili solo i corleonesi”.
Una riflessione particolare sul termine “mafia” viene fatta dagli agrigentini. “Non esiste la mafia esiste solo cosa nostra”.
Da questa indagine emerge un dato sconfortante: gli imprenditori che hanno subito estorsioni continuano a non denunciare. Così il colonnello Giovanni Pellegrino, comandante del comando provinciale di Agrigento, spera che: “Sono 27 i casi di estorsione e tenta estorsione registrati, 10 consumati con atti intimidatori. In alcuni casi i mafiosi per intimidire hanno dato alle fiamme auto e mezzi di ditte che gestivano appalti pubblici. Nessuno ha denunciato. Speriamo che questa operazione possa dare un impulso a chi è stato vittima di danneggiamenti ed estorsioni a denunciare”.
In 10 casi la cosiddetta “messa a posto” è andata a buon fine. Le richieste estorsive andavano da 2.000 a 20.000 euro. Le ditte prese di mira sono soprattutto quelle edili delle province di Agrigento, Palermo, Caltanissetta, Messina, Enna e Ragusa.
Ma oltre alla classiche estorsioni ad imprese locali, i capi mandamento agrigentini hanno tentato di allungare le mani sui soldi che girano attorno a due cooperative di immigrati richiedenti asilo. Le richieste, da una parte, erano quelle di far assumere personale riconducibile all’organizzazione mafiosa e dall’altra di avere una percentuale su ogni contributo pro capite ricevuto per i migrati da parte della Stato.
Caricamento commenti
Commenta la notizia