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Aragona, processo sul depuratore

ARAGONA. «Non c'è la prova che sia stato consumato un danno ambientale e le procedure amministrative sono perfettamente in regola. L'autorizzazione allo scarico non era scaduta». Dopo la requisitoria del pubblico ministero Antonella Pandolfi che aveva chiesto la condanna del sindaco di Aragona Salvatore Parello, del suo predecessore Alfonso Tedesco, in carica nel quinquennio precedente, e del dirigente comunale Rosario Monachino, ieri sono iniziate le arringhe difensive.

L'avvocato Alfonso Neri ha ribaltato le tesi della pubblica accusa che aveva proposto tre condanne. Per il funzionario erano stati chiesti tre mesi di reclusione; quattro mesi per Parello e Tedesco. Il pm, sulla base di una consulenza redatta dall'ingegnere Salvatore Sciacca, sostiene che «i reflui fognari sarebbero finiti nel vallone del fiume Platani visto che per cinque anni nessuno si sarebbe preoccupato di ottenere l'autorizzazione allo scarico, scaduta nel 2008, utilizzando quindi abusivamente il depuratore comunale». Ne è scaturita un'accusa di danneggiamento e violazione del codice dei beni culturali per i tre imputati. Parello e Tedesco rispondono anche di omissione di atti di ufficio.

«La consulenza - ha detto l'avvocato Neri - non offre alcuna prova dell'inquinamento del vallone. Non c'è stato alcun danno ambientale perché non si tratta di una sostanza tossica. Inoltre i sindaci e il dirigente hanno attivato tutti i sistemi di controllo e di analisi. Mai è emerso dalla analisi - ha aggiunto il difensore - che è stato superato il limite dei valori consentiti». Contestata anche la tesi sulla mancata autorizzazione. «Era stata chiesta alla Regione e in base alla normativa si doveva ritenere automaticamente prorogata». Il gup Alessandra Vella, davanti al quale si celebra il processo con rito abbreviato, ha poi rinviato al 20 aprile per l'arringa dell'altro difensore Salvatore Pennica. (*GECA*)

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