AGRIGENTO. Si chiama Marco Zambuto, ex sindaco di Agrigento. È diventato vittima sacrificale di una politica talmente severa con sè stessa che emana leggi tanto rigorose da sfiorare il paradosso. Paradosso vuole che Zambuto, presidente del Pd siciliano, condannato a due mesi per aver dato incarico ad un agente pubblicitario di realizzare delle pagine su un quotidiano, si sia prima dimesso dalla carica per anticipare la sospensione del prefetto (imposta dalla legge Severino) ma poi è stato assolto con formula piena in Appello. Nel frattempo al Comune la Regione ha nominato un commissario ed in primavera si tornerà alle elezioni. Alle quali Zambuto, pur essendo stato riconosciuto innocente, non potrà partecipare. La legge, infatti, contempla un terzo mandato consecutivo (se uno dei primi due è incompleto), ma lo vieta a chi ha lasciato l'incarico volontariamente. Come nel caso dell'ex sindaco di Agrigento.
Mai paradosso fu parola più azzeccata.
«Non voglio farne un fatto personale. Parlo della vicenda a prescindere da me. Perchè il punto non è se io mi voglia o possa ricandidarmi. Il nodo della questione è che per una legge contraddittoria io oggi non sono al mio posto. È stato umiliato il voto popolare».
Lei nei due anni di indagini e durante il processo ha mantenuto un atteggiamento ossequioso nei confronti della magistratura. Anche a costo di rimetterci. Si è dimesso volontariamente pur non avendone l'obbligo e per questo i giudici di Appello nella sentenza hanno sottolineato l'«onorabilità e l'incalcolabile danno politico subito» dopo le dimissioni ed anche che «sia consentito un riconoscimento in favore dell'imputato, in una situazione del nostro Paese che raramente vede comportamenti coerenti da parte dei pubblici amministratori...».
«Certo, nessuna assoluzione può ripagare un uomo della sofferenza causata da una condanna ingiusta. Sofferenza umana e psichica aggravata nel mio caso dal fatto di essere stato sbattuto su tutti i media per qualcosa che sapevo di non avere mai commesso. Ma rimango fermamente convinto che, nelle aule di giustizia di questo paese, le ragioni della logica e del diritto possano essere ancora ascoltate».
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