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Valle dei Templi, 25 anni dopo il grido di Wojtyla la lettera dei vescovi siciliani: tutti i mafiosi peccatori

Giovanni Paolo II ad Agrigento

«Convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio»: il grido contro gli uomini e le donne di mafia lanciato ad Agrigento da Papa Giovanni Paolo II risuona ancora a distanza di 25 anni.

Uno storico appello che è stato ricordato oggi con una lettera e una concelebrazione ai piedi del Tempio della Concordia, dai vescovi di Sicilia. Nella lettera i vescovi lanciano un nuovo appello a non abbassare la guardia perché «La mafia continua a esistere e a ordire le sue trame mortali» e hanno sottolineato come la mafia sia un peccato gravissimo. Per l'iniziativa è arrivato anche un messaggio di Papa Francesco che invita i pastori a camminare sulla via tracciata dal beato Pino Puglisi nella lotta alla mafia.

Nella lettera scritta dai vescovi si legge che «la mafia continua a esistere e a ordire le sue trame mortali, estendendole anzi - ormai da tempo - oltre la Sicilia, nel resto d’Italia e all’estero, procacciandosi ovunque connivenze e alleanze, dissimulando la sua presenza in tanti ambienti e contagiandosi a molti soggetti - sociali e individuali - che apparentemente ne sembrano immuni, trapiantandosi ovunque nel solco di una pervasiva corruzione». I vescovi ribadiscono che «la mafia è peccato», «la mafia è incompatibile con il Vangelo», «tutti i mafiosi sono peccatori: quelli con la pistola e quelli che si mimetizzano tra i cosiddetti colletti bianchi, quelli più o meno noti e quelli che si nascondono nell’ombra». Inoltre, ricordano che quando Giovanni Paolo II chiese loro di convertirsi la mafia rispose con gli attentati del luglio 1993, a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro, poi il 15 settembre 1993 uccisero padre Pino Puglisi, parroco nel quartiere Brancaccio, a Palermo, ora beato.

La Conferenza episcopale siciliana sottolinea che «la mafia è un problema che tocca la Chiesa, la sua consistenza storica e la sua presenza sociale in determinati territori e ambienti, il vissuto dei suoi membri, di quelli che resistono all’invadenza mafiosa e di quelli che invece se ne lasciano dominare». E se negli anni la comunità ecclesiale ha preso le distanze dal «silenzio» che prima circondava il fenomeno mafioso, oggi «rischiamo di passare dal silenzio alle sole parole» - avvertono - magari ripetendo ciò che già dicono altri : «Privo di un suo timbro peculiare, il discorso ecclesiale riguardante le mafie rischia così di essere più descrittivo che profetico». Sui media «le condanne pubbliche e le scomuniche», osservano, «hanno eco brevissima» ma ciò che li preoccupa davvero è «che il nostro discorso» non giunga a «interpellare» e a «scuotere davvero i mafiosi, da parte loro non certo interessati a leggere i documenti ecclesiali» e non si riesce a «far crescere generazioni nuove di credenti». Perciò invitano a proporre «una catechesi interattiva, il più possibile 'pratica' e 'contestuale'» e a sfruttare «ogni buona occasione: nel catechismo agli adolescenti, in cui anche i figli dei mafiosi devono essere coinvolti», nei «momenti formativi dedicati ai giovani e agli adulti»; nella celebrazione del «battesimo, la prima comunione e la cresima; nelle omelie durante i funerali delle vittime di mafia, ma anche - dove e quando sia fattibile - durante le esequie di persone defunte che sono appartenute alla mafia».

«Peccato - prosegue la lettera - è l’omertà di chi col proprio silenzio finisce per coprirne i misfatti, così facendosene - consapevolmente o meno - complice - Peccato ancor più grave è la mentalità mafiosa, anche quando si esprime nei gesti quotidiani di prevaricazione e in una inestinguibile sete di vendetta. Peccato gravissimo è l’azione mafiosa, sia quando viene personalmente eseguita sia quando viene comandata e delegata a terzi». Allo stesso modo le organizzazioni mafiose sono «strutture di peccato», perché «con i loro intrighi e i loro traffici si rivoltano contro la volontà divina» e producono «la morte fisica, che le azioni mafiose causano dolorosamente tra gli esseri umani» e «la morte radicale, che rimarrà - nel momento supremo del giudizio di Dio - inconciliabile con la vita eterna». La mafia, precisano i vescovi, «si configura non solo come un gravissimo reato, ma anche come un disastroso deficit culturale e, di conseguenza, come un clamoroso tradimento della storia siciliana. Più precisamente, come un’anemia spirituale. E, per questo motivo, anche come un’incrinatura fatale nella virtù religiosa, che finisce così per risultare depotenziata e travisata».

Quando il 9 maggio 1993 Wojtyla lanciò il suo anatema contro i mafiosi aveva accanto l’arcivescovo di Agrigento, Carmelo Ferraro, che oggi nel suo 'ritiro' di Punta Braccetto, nel Ragusano, ricorda quel discorso: «Il Papa ci parlò da cuore a cuore usando una voce talmente forte da trasformare in un grido quel suo invito alla conversione. Il Papa aveva quel giorno, come noi, il cuore ferito. Dopo l'incontro con i giovani allo stadio, che era stato ricco di suggestioni e di entusiasmo e con una partecipazione straordinaria e nel quale aveva invitato i giovani a rialzarsi, tornammo in Vescovado e, prima della messa alla Valle dei Templi, favorii un incontro con i genitori del giudice Livatino e con i familiari del giudice Saetta, uccisi dalla mafia, sperando che quell'incontro portasse loro un po' di conforto. Quell'invito alla conversione - aggiunge - rivolto ai mafiosi, quel grido gli sgorgò dal cuore. Parlò con una voce calibrata e talmente forte da far sembrare che tutto fosse ben congegnato e, invece, proveniva dal profondo del cuore, frutto forse anche dell’emozione forte che aveva provato durante l'incontro con i genitori del giudice Livatino nel palazzo arcivescovile. La mafia si vendicò poi con le bombe a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro e con l'uccisione di don Pino Puglisi. Era probabilmente il segno che il grido del Papa aveva fatto breccia».

Papa Francesco ha fatto sentire la sua presenza attraverso un messaggio inviato al cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento: «In occasione del 25° anniversario della visita di San Giovanni Paolo II ad Agrigento, quando al termine della Messa nella Valle dei Templi egli pronunciò la profetica invettiva contro la mafia e l’appello ai mafiosi a convertirsi - si legge nel testo, a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin -, il Santo Padre Francesco rivolge il suo fraterno saluto ai pastori e ai fedeli di codesta Chiesa particolare e di tutta la Sicilia, radunati in preghiera e riflessione, e li incoraggia a camminare uniti sulla via abbracciata dal beato don Pino Puglisi e da quanti come lui hanno testimoniato che le trame del male si combattono con la pratica quotidiana, mite e coraggiosa, del Vangelo, specialmente nel lavoro educativo in mezzo ai ragazzi e ai giovani. Invocando la materna intercessione di Maria Santissima - prosegue il messaggio -, Papa Francesco assicura uno speciale ricordo nella preghiera per le Chiese di Sicilia e di cuore invia ai fratelli vescovi, ai sacerdoti e all’intero popolo di Dio la sua apostolica benedizione».

 

 

 

 

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