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Migranti, il cardinale Montenegro: "Occorre allontanare la sindrome della paura"

REGGIO CALABRIA. «L'errore più grande che corriamo è il rischio di definire emergenza una situazione che ormai c'è; che non è più di passaggio, ma si evolve da anni. Bisogna prendere coscienza e conoscenza della realtà, senza voltarsi dall’altra parte. Prendere decisioni che non siano momentanee o 'toppe', ma siano importanti per il futuro e soprattutto pianificate con razionalità». Lo dice l’arcivescovo metropolita di Agrigento, il cardinale Francesco Montenegro, presidente della Caritas italiana e presidente della Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute, intervistato dal magazine del Consiglio regionale della Calabria (www.calabriaonweb.it).

Il cardinale ha preso parte a Reggio Calabria a un incontro organizzato dall’associazione «Nuova Solidarietà» sul tema "Migranti, tra accoglienza ed indifferenza». A Francesco Scopelliti, che l’ha intervistato, sua eminenza ha specificato che «occorre allontanare con fermezza la sindrome della paura. E ribadisco l’importanza di lavorare in sinergia tra enti e tra istituzioni. Verticalmente ed orizzontalmente. Le soluzioni ci potrebbero essere semplicemente abbassando la quota migranti per ogni comune che dovrebbe accoglierli e, contestualmente, aumentare il numero dei comuni disposti ad accoglierli. Su quest’ultimo aspetto si dovrebbe lavorare di più. Ma prima di ogni cosa, dobbiamo sconfiggere la 'paurà dell’immigrato. Una falsa paura, in realtà si ha timore della povertà, perché denuncia chi siamo...».

Alla domanda circa l’impegno dispiegato dalla Chiesa, ha risposto: «La Chiesa siamo noi. Noi comunità, noi cittadini, noi volontari del terzo settore. Certo è che un cristiano non può fare la comunione, se poi, fuori dalla chiesa, ignora l'immigrato, o addirittura, lo denigra. La Chiesa deve aiutare ognuno di noi a chiedersi: quale futuro voglio? Perché, il nostro futuro comincia oggi, e se oggi non ci proiettiamo in avanti, in una società italiana ed europea che sta invecchiando e che ha bisogno di nuove mani e nuove menti, ci ritroveremo, in pochi anni, in una condizione di disagio e degrado sociale».

Il cardinale ha ricordato la strage di Lampedusa del 3 ottobre del 2013 in cui persero la vita 368 migranti: «Non mi vergogno a dirlo: già la notte dopo scrissi al Papa. Fui colto da una crisi religiosa. Scrissi chiedendo a Sua Santità come avrei fatto a spiegare ai miei concittadini, ai miei fedeli, a chiunque me lo avesse chiesto, dove trovare il coraggio della fede dopo tanto strazio, tanto dolore, tanta morte. Se Dio c'è, gli domandai, come ha potuto permettere una tale atrocità? Il Papa mi rispose che da lì a qualche giorno sarebbe atterrato a Lampedusa e avremmo pregato insieme per i nostri fratelli, povere vittime del mare e di una speranza tradita. Di quelle tristi ore ricordo i pianti disperati dei soccorritori, ricordo le lacrime versate in quel gommone, impegnato anch’io con un cordone robusto a tirare le salme; ricordo i cittadini lampedusani darci una mano in un clima surreale e di disperazione. Della visita di Papa Francesco, camminando tra le 368 salme, ricordo le sue insistenti e ripetute parole 'Quanta sofferenza!Quanta sofferenzà; ma ricordo anche le parole che rivolse a tutti i soccorritori: 'Ricordate, chi non sa piangere non sa amare!".

 

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