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«Non ci fu alcuna corruzione giudiziaria» Il giudice ha assolto Giuseppe Arnone

Secondo l’accusa avrebbe dato soldi per una testimonianza a favore. Il pm aveva chiesto tre anni e quattro mesi

PALERMO. Secondo il giudice dell’udienza preliminare Francesco Provenzano le «dazioni di denaro» non sarebbero state finalizzate ad addomesticare la testimonianza ma sarebbero rientrate nell’ambito dei “pregressi rapporti fra gli imputati”: assoluzione, dunque, perché il fatto non sussiste per l’avvocato Giuseppe Arnone e l’amica Maria Grazia Di Marco. Il gup, pochi minuti dopo le 19 di ieri, ha letto anche le motivazioni – in tutto una ventina di pagine – con cui scagiona i due imputati accogliendo le richieste degli avvocati Angelo Farruggia e Arnaldo Faro che avevano sostenuto che la consegna di somme di denaro, in occasione di un precedente processo in cui Arnone era imputato di tentata estorsione sulla base delle denunce della Di Marco che si era costituita parte civile, non erano finalizzate a far ritrattare le accuse. Il pubblico ministero Andrea Maggioni, al termine della requisitoria, aveva invece chiesto la condanna a 3 anni e 4 mesi per Arnone e un anno e 10 mesi per la Di Marco. Secondo il pm non si era trattato di semplici favori personali ma di veri e propri atti corruttivi in vista dell’udienza decisiva che si sarebbe tenuta nei giorni successivi. L’imputazione per entrambi era di corruzione in atti giudiziari. Arnone, secondo l’accusa che non ha retto al vaglio del processo, avrebbe cercato di addomesticare la deposizione della donna, dipendente dell’Asp di Agrigento, che lo aveva denunciato e fatto finire sotto processo con l’accusa di averla picchiata in cambio della firma su un mandato difensivo legato alla compravendita di un immobile. Quel processo si concluse con la condanna a tre mesi di reclusione di Arnone per violenza privata ma qualche giorno prima, il 6 ottobre dell’anno, scorso i carabinieri perquisirono le abitazioni di Arnone e della Di Marco, i cui telefoni erano stati messi sotto controllo, sequestrando computer e pen drive alla ricerca di un’email di cui avevano discusso poco prima e con la quale l’allora imputato indicava le domande che sarebbero state poste alla Di Marco durante l’udienza del processo che si sarebbe tenuta dopo pochi giorni. La testimonianza (iniziata nella precedente udienza) alla fine saltò per rinuncia della difesa di Arnone. Anche su questo punto gli avvocati Farruggia e Faro hanno insistito spiegando che «non si poteva concretizzare alcuna corruzione proprio perché la testimonianza alla fine fu interrotta». «Prestare 50 euro a un’amica – si era difeso Arnone prendendo la parola dopo la requisitoria – non è corruzione. Ho aiutato una persona in difficoltà con cui ho rapporti da tanti anni».

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