"La mafia non è morta: è chiaro che con le indagini, con i grandi arresti, i grandi processi e i sacrifici di tanti uomini abbiamo dato un grande colpo, ma sappiamo che la criminalità organizzata è forte e bisogna tenera alta l’attenzione con l’obiettivo di sconfiggerla per sempre", ha detto il presidente della Camera, Roberto Fico, a margine dell’incontro organizzato nell’aula magna del Tribunale di Agrigento per il trentesimo anniversario dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia il 21 settembre di 21 anni fa.
"Ricordare Rosario Livatino - ha aggiunto - significa dunque sollecitare tutta la comunità nazionale a fare fronte comune e gettare le basi per un futuro non più gravato da ipoteche mafiose. E significa rafforzare la determinazione, che continua ad animare tanti magistrati e esponenti delle forze dell’ordine in prima linea contro la criminalità organizzata, a voler fare a tutti i costi il proprio dovere e a dare un senso pieno, nobile, costituzionale, al proprio ruolo".
Il giudice, diceva Livatino, ricorda Fico, "oltre che essere, deve anche apparire indipendente. E’ importante che egli offra di se stesso l’immagine non di persona austera o severa o compresa del suo ruolo e della sua autorità o di irraggiungibile rigore morale, ma di persona seria, di persona equilibrata, di persona responsabile; e, potrebbe aggiungersi, di persona comprensiva ed umana, capace di condannare, ma anche di capire. Soltanto se il giudice realizza in se stesso queste condizioni - prosegue -, la società può accettare ch’egli abbia sugli altri un potere così grande come quello che ha". In queste parole, per Fico, "si riconoscono tutte le coordinate basilari del ruolo istituzionale che la Costituzione ha affidato all’ordine giudiziario e su come, quel ruolo, debba essere interpretato. E’ la lezione, immensa ed indimenticabile, del 'giudice ragazzinò".
"Si cerca di far passare da troppe parti il messaggio che lo Stato ha vinto - ha detto il consigliere del Csm Nino Di Matteo - ma ho dubbi sempre più forti sulla reale volontà di combattere la guerra al sistema mafioso per vincere su tutti i fronti e per debellarlo definitivamente".
"Il processo di beatificazione di Rosario Livatino è in atto, sto seguendo la vicenda - ha detto il cardinale Francesco Montenegro -. La canonizzazione va avanti, speriamo di avere presto dei risultati".
"Qual è il senso di ricordare Livatino oggi? La realtà - ha detto l’arcivescovo - è che dobbiamo avere il coraggio di recuperare la legalità con le scelte individuali della politica e dei cittadini".
Montenegro ha aggiunto: "L'indipendenza del giudice, seguendo l’esempio di Livatino, va raggiunta attraverso comportamenti coerenti e indipendenti anche fuori dalle aule di giustizia, nella vita sociale e nelle scelte delle amicizie".
Secondo il cardinale "se ognuno di noi, seguisse l’esempio di Livatino, con i fatti e non con le parole, faremmo terra bruciata attorno alla mafia. Se dopo tanti anni siamo qua, vuol dire che la sua morte non è stata inutile. Dovremmo andare nel posto dove si è consumato il martirio come pellegrinaggio. Da quell'esempio può arrivare una svolta per la nostra città. Ognuno di noi dovrebbe trovare la forza per dire basta a ogni forma malata di potere".
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