
L’ultimo giro di valzer di Claudio Baglioni, che ha annunciato tempo fa il ritiro per il 2026, non poteva che partire da Lampedusa. «Un luogo elettivo per me, il luogo del cuore. Mi ha dato tanto e spero in questo modo di poter restituire qualcosa», ha raccontato l’artista che ieri (27 settembre) ha debuttato con l’anteprima nazionale del Grand Tour La Vita adesso, 40 date all’aperto (più qualche altro evento unico nel 2027, compresi alcuni stadi tra cui Milano («e la chiusura probabilmente a Roma. Pagherò pegno per lo sforamento») che celebrano i 40 anni di uno dei suoi album più significativi. Il tour prenderà il via il prossimo 29 giugno da Venezia, per la prima volta di Baglioni in piazza San Marco.
«Cominciare da Lampedusa era quasi un obbligo morale», dice il cantautore poco prima di salire sul palco, pass al collo con il suo nome («l'unico rito scaramantico che mi concedo»), allestito allo stadio Comunale - uno sforzo imponente per questo territorio «più vicino all’Africa che all’Italia», con 150 persone coinvolte dietro le quinte e una ventina di artisti sul palco. Tutto studiato nei minimi particolari, tutto preparato come si prepara un evento di questa portata.
Ma di una cosa, Baglioni, non aveva tenuto conto: l’evidente emozione che lo ha colto di sorpresa appena salito sul palco e che non lo ha abbandonato per tutte le 3 ore e mezza di show. «Mi sono commosso in due-tre momenti, in particolare su Avrai, forse pensando al mio nipotino. Invecchiando si peggiora - ha detto una volta che le luci si erano spente -. È stato il concerto più difficile della mia vita. Qui e Roma sono i due posti che mi emozionano di più, sono casa, e a casa non puoi fare il divo». L’isola - presa d’assalto da una decina di migliaia di fan arrivati per un ultimo sussulto di estate - ha vissuto lo stesso fermento dei tempi di O' Scià, la manifestazione che per 10 anni il cantautore - sbarcato sull'isola quasi per caso nel 1998, rimanendone stregato - ha organizzato qui con l’obiettivo di sensibilizzare sull'immigrazione clandestina.
«O Scià è un capitolo chiuso ormai. Nasceva dal disagio di sapere che accanto a questi luoghi incantevoli, si consumano storie tragiche. Gli artisti - ha aggiunto con amarezza - servono a poco, tranne che a mettere la loro notorietà al servizio di qualche causa. E per 10 anni siamo riusciti a parlare di qualcosa di cui non parlava nessuno». Il bilancio che ne fa oggi è però deludente: «fu una grande esperienza, ma non ha portato a chissà quali risultati. Alla fine dei 10 anni mi sono sentito sconfitto. Artisti e personaggi pubblici sono trombettieri che non sanno fare nessuna guerra».
Lo sguardo sul mondo di oggi, sempre più sull'orlo del precipizio, è dunque disincantato. «In questo momento ci sono 60 guerre con 100 Paesi coinvolti: Ucraina, Gaza, Yemen, Sudan, e noi siamo inermi e impotenti. La bellezza dubito che possa salvare il mondo, ma se non riusciamo a far diminuire quei fatti negativi, possiamo però far crescere quelli positivi». Eppure trova difficoltà a schierarsi, «a dire qualcosa, come fanno tutti. A volte per scegliere tra due preposizioni in un testo ci ho messo sei mesi, figuratevi a trovare le parole da dire su un genocidio o uno sterminio. A 74 anni non ho ancora capito niente. Se avessi una posizione, la porterei avanti». Quello in cui non vuole smettere di credere è però la possibilità di pace: «è un sogno che non bisogna mai smettere di sognare perché è l'unico modo di evitare che il mondo precipiti nell’incubo».
Durante il live che omaggia l’album più venduto di sempre in Italia con le sue 4,5 milioni di copie («quando l’ho fatto pensavo fosse un brutto disco, e invece...»), ha ricantato per intero i 10 brani de La Vita è adesso. Ad anticiparli un preludio di 4 pezzi (Io sono qui, Dagli il via, Acqua dalla Luna, Poster) «che raccontano il mio modo di essere uomo e artista, mestiere per il quale non ero assolutamente fatto». Nella seconda parte 15 brani più tre medley, raccolti da varie epoche, «una sorta del meglio di». A rovinare il ritorno tanto voluto a Lampedusa non sono bastate le polemiche delle settimane scorse sugli 800 mila euro di fondi comunali spesi per l’evento. «Mi dispiace sempre quando si mischiano soldi e musica, ma è una polemica nata e morta lì, malumori riconducibili a qualche voce isolata seppellita dai miei manifesti allo Mao Tse Tung sparsi un pò ovunque che non permettono il dissenso - dice tra il serio e il faceto -: si trattava di fondi europei che potevano essere utilizzati solo per eventi culturali».
La metà di quei finanziamenti - ha sottolineato - sono rimasti all’isola, tra alberghi, ristoranti e un campo sportivo rinnovato. «E gli artisti, me compreso, sono sul palco a titolo di amicizia». Dopo l’anteprima di Lampedusa, il Grand Tour riprenderà la prossima estate da giugno a settembre (in mezzo la seconda parte del tour nei teatri fino a fine anno), in luoghi di valore storico, artistico e paesaggistico, («era tanto che non facevo un tour all’aperto, lo consideravo distraente»). Il nome scelto riporta ai tour degli intellettuali europei nel Settecento. «E l'obiettivo è quello: ricominciare a viaggiare, fare delle visite. Negli ultimi tempi mi sono solo trasferito da un posto all’altro, non ho imparato niente, non ho annusato. Stavolta vorrei godermela e vorrei che questo viaggio fosse documentato per immagini».
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