Ogni 3 ottobre otto amici che abitano a Lampedusa e i 47 migranti da loro salvati festeggiano il compleanno. Non sono nati tutti lo stesso giorno, ma quella è la data della loro rinascita. E per puro caso il 3 ottobre compie gli anni anche Davide Lomma, giovane regista pesarese che questi uomini e donne li ha conosciuti e ha scelto di raccoglierne il racconto. Ne è nato il documentario L’ultima isola, premiato dal pubblico al Biografilm di Bologna, da settembre in auto-distribuzione nelle sale italiane.
Una sera un gruppetto di lampedusani d’adozione esce con la solita barca, la Gamar, e vi resta a dormire. Dopo poche ore, vengono svegliati dalle urla di decine e decine di uomini in mare. Era il 2013, la mattina di uno dei naufragi del Mediterraneo più drammatici del nostro secolo. «Abbiamo raccolto tantissimo materiale e fatto anche altre interviste, ma alla fine abbiamo scelto un unico punto di vista, quello di questi amici che si ritrovano a salvare vite per caso e passano gli anni successivi a cercare di superare questa tragedia», spiega Lomma all’Ansa. Una ferita indelebile per delle persone che, a loro volta, erano «immigrate» a Lampedusa, chi da altre zone della Sicilia, chi persino dal Nord Italia. «Quando si legge di quel naufragio si parla solo dell’incidente - riflette l’autore - ma io volevo raccontare l’umanità della vicenda».
Trecentosessantotto morti accertati, venti presunti dispersi, centocinquantacinque persone salvate. Di queste, quasi un terzo sono state recuperate da quei soccorritori improvvisati, che hanno trasformato un barchino per piccole battute di pesca in un mezzo di aiuto. Nel film i protagonisti parlano liberamente, ritornano a quella drammatica alba, ma lo spettatore non vede nemmeno una clip del naufragio. Le immagini, però, si creano nell’immaginazione grazie a parole penetranti ed emozioni ancora vivide. La magia dello storytelling, che permette di andare oltre i sensazionalismi e di superare la triste assuefazione odierna ai morti in tv. «Ci sono tanti video di quel giorno, ma ho scelto di non usarne - spiega il regista -, volevo che la sensazione fosse quella di sentirli parlare attorno al fuoco, senza la pornografia del dolore a cui siamo tutti sottoposti quotidianamente, anche se è una scelta anti-commerciale».
«Dal 2017 in poi siamo tornati due o tre volte l’anno per fare riprese - prosegue -, mi sono ispirato all’antropologia visiva, ho fatto tanta ricerca sul campo e alla fine ho cercato di restituire il punto di vista isolano». Quello dell’«ultima isola», appunto, luogo di confine ma anche ultimo posto visto da migliaia di morti in mare. L’obiettivo è anche quello di innescare un dialogo più nel merito delle questioni umane e meno ideologico, anche perché a undici anni dalla tragedia il dramma non accenna a fermarsi. «Già alla prima proiezione, al Biografilm, abbiamo visto che si è innescato un dibattito particolarmente acceso - racconta Lomma - e io voglio proprio questo, che si crei una discussione». Da qui la voglia di portarlo al cinema in serate-evento con incontro finale e, perché no, «mi piacerebbe anche che venisse inserito nei cineforum nelle scuole», conclude.
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