AGRIGENTO. A pochi chilometri dal centro della città di Sciacca, alle falde del monte Kronio, sorge il Castello Incantato di Filippo Bentivegna; il podere in cui lo stravagante artista di Art Brut ha trascorso parte della propria vita a scolpire teste, sui tronchi e sulla pietra.
In questo panorama suggestivo, tra scultura, leggenda e storia, sabato alle 20 si terrà la presentazione del libro di Nino Sandullo, medico e scrittore di Sciacca, dal titolo "Filippo Bentivegna - Tra Savantismo e Neuroestetica. Irregolarità e Normalità" (Melqart Communication).
Il libro approfondisce un aspetto poco dibattuto della vita dello scultore di teste, quello clinico. Sandullo scava nella storia medica del Bentivegna provando a studiarne la patografia e riconoscere (o ipotizzare) elementi che aiuterebbero a spiegarne le opere e gli atteggiamenti bizzarri.
"A Sciacca lo viviamo come un contadino folle e matto, ma non lo era - dice Nino Sandullo -. Sicuramente ha subìto un trauma durante gli anni trascorsi in America. Ha realizzato il suo regno in quel podere, scolpendo decine di teste, ma non sapeva contrapporre i colori, se non quelli base come il rosso e il nero. Era un metodico e credo che questa sua meccanicità fosse dovuta ad un trauma del lobo frontale di destra; la mia però è soltanto un'ipotesi - continua l'autore - . Se volessimo suffragare e dare conto a queste tesi dovremmo disseppellire la salma dell'artista e fare una tac tridimensionale per verificare se realmente abbia subìto il danno che sospetto. Potremmo anche dargli dignità d' artista e dargli la sepoltura che merita".
Nel titolo del libro si introducono le scienze, dello studio clinico condotto dal Sandullo, che screditerebbero la diagnosi che riteneva Bentivegna un folle, inadatto a lavorare, benché innocuo per sé e per gli altri: savantismo e neuroestetica.
"Gli idiot savant - o idioti sapienti - sono i soggetti che geneticamente, o in seguito ad un trauma, hanno un'alterazione della corteccia celebrare. Questo danno - afferma l'autore - determina una inattivazione di alcune aree celebrali e l'iperfunzioni di altre. Il danno a livello anteriore, lo stesso che penso possa aver subito Bentivegna, fa venire meno il freno inibitorio sulle aree posteriori che sono quelle deputate alla visione e all'immaginazione. Questo determina un aumento della creatività".
Alcuni soggetti affetti da autismo infatti, riportano questa incapacità di svolgere banali compiti della vita quotidiana, mentre risultano brillanti in alcuni campi della vita. Hanno abilità eccezionali in singoli settori, spesso associati alla musica, alle arti o alla matematica. Si tratta di individui con ritardo mentale (spesso autistici) che mostrano quello spiccato talento che la critica definirebbe genio.
La neuroestetica invece, una nuova branca della medicina, studia il rapporto tra arte e cervello.
"Tutto ciò che i filosofi hanno ipotizzato sulla bellezza, e sulla celebre sindrome di Stendhal, viene ad essere ripreso in campo medico, tentando di darne una spiegazione scientifica - dice Sandullo -. La mia ipotesi è che, se un osservatore, posto innanzi un'opera di Fontana o Bentivegna, si immedesima in modo profondo nell'opera d'arte si attivano dei neuroni, chiamati neuroni a specchio, che fanno vivere le stesse emozioni che ha provato l'artista mentre compiva l'opera. Facendo una risonanza magnetica funzionale nel momento in cui si osserva l'opera, è possibile quindi, entrare nella mente di Filippo e scoprirne gli arcani misteri".
Nel testo "Filippo Bentivegna - Tra Savantismo e Neuroestetica. Irregolarità e Normalità" si ripercorrono quindi, le tappe della vita dell'artista saccense riscrivendo una storia che, in qualche maniera, lo ha visto sempre protagonista di una vicenda di follia. Su questo scultore molto è stato detto: sulla sua arte, sulla sua vita privata, sui traumi che aveva subìto, psicologici e fisici, ma nessuno prima d'ora aveva indagato la sua mente.
"Nel suo modo di vivere, esistono dei tratti schizofrenici - ci racconta lo stesso Sandullo- ma a differenza degli schizofrenici, Filippo non si è mai allontanato dalla realtà. Era nato a Sciacca verso la fine dell'Ottocento e, nel 1913 si era trasferito in America quando i banchi di corallo, nella città marinara, hanno una rapida crisi di vendita e il loro valore di mercato si abbassa notevolmente, e Filippo non sa di che vivere".
Sono gli anni del primo grande esodo migratorio che ha visto milioni di italiani, per il desiderio di inseguire il sogno americano e di riscatto, imbarcarsi per raggiungere la "Merica tutta candy".
"Sappiamo che, in America, Filippo ha lavorato come pugile e come manovale per una ditta edile - continua l'autore -. Alcune testimonianze ci raccontano che il trauma che lo avrebbe lasciato in coma per diversi giorni, fosse dovuto ad un incidente sul lavoro; qualcun altro dice che fosse dovuto ai pugni subìti durante gli incontri di boxe, o addirittura perché si era invaghito della figlia di un boss mafioso che si oppose al loro matrimonio, e lui non accettò mai il rifiuto. La tesi però più avvalorata - afferma Sandullo - sarebbe quella delle percosse subìte durante una lite furibonda con il fratello, dopo che Filippo lo avrebbe trovato a letto con la propria donna. Di certo, a modificare la vita dell'artista, c'è un trauma".
Ad avvalorare questa tesi, nel libro del medico saccense viene riportato un singolare caso clinico, quello di Ann Adams, l'insegnante di matematica, vissuta in Canada e diventata celebre per i suoi straordinari dipinti.
"La storia di Ann Adams è tra le più interessanti - afferma Sandullo - nell'ultima fase della sua vita sviluppa un insolito talento per la pittura e in seguito a molti studi a cui è stata sottoposta, si è scoperto che l'area frontale sinistra si era atrofizzata, causando una perdita del linguaggio, mentre l'area posteriore destra, quella che regola i processi visivi e spaziali si era rafforzata, ampliando la sua propensione per la pittura. Tra i suoi quadri più celebri 'Unravelling Bolero', Adams rappresenta una trasposizione visiva dell'opera di Ravel, il quale si crede essere stato vittima anche lui della stessa malattia".
Il rapporto genio - follia è tra i più oscuri, dibattuti e, certamente, curiosi e stimolanti. Aiuta a dare una logica agli atteggiamenti e, anche a quelle opere che, oggi, restano note alla critica come capolavori del genio creativo, tuttavia per la letteratura e i critici d'arte, è difficile poter ridurre l'operato a un effetto dello stato di salute. Sarebbe come dire che il germe del pensiero pessimista di Leopardi era dovuto ai suoi malanni fisici, ma su queste controversie, scienza e filosofia non entreranno mai in comunione.
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