
La vicenda di Marianna Bello, la giovane madre travolta dal nubifragio che ha colpito Favara, riporta al centro dell’attenzione il tema mai risolto del dissesto idrogeologico in Sicilia e in Italia. A lanciare un appello è l’Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia che chiede con forza un cambio di passo nelle politiche di tutela del territorio. L’Ordine si stringe al dolore della famiglia di Marianna Bello e alla comunità tutta, ancora in apprensione per l’esito delle ricerche. «L’ennesima tragedia avvenuta nel nostro territorio a seguito di una violenta alluvione, ci ricorda con forza come il tema del dissesto idrogeologico rimanga drammaticamente irrisolto. Da decenni, infatti, dopo ogni disastro, assistiamo a dichiarazioni e promesse che, puntualmente, si spengono nell’oblio fino al successivo evento calamitoso. Si continua a intervenire solo a posteriori, mentre la prevenzione, pur dimostratasi molto meno onerosa rispetto alla riparazione dei danni, resta colpevolmente trascurata».
I dati allarmanti
Il quadro tracciato dall’Ordine dei Geologi è supportato dalle cifre dell’ultimo rapporto Ispra. «Questo dramma - prosegue la nota - non è purtroppo un evento isolato: fa parte di un quadro nazionale allarmante. Secondo la quarta edizione del Rapporto ISPRA sul dissesto idrogeologico in Italia, il 94,5 % dei comuni italiani è esposto al rischio di frane, alluvioni, erosione o valanghe. In questi ultimi anni, la superficie colpita dal rischio frane è aumentata del 15 %, passando da 55.400 a 69.500 km², ovvero circa il 23 % del territorio nazionale. Le aree classificate a pericolosità elevata o molto elevata (P3-P4) sono cresciute, passando dall’ 8,7 % al 9,5 %. Nel complesso, sono censite oltre 636.000 frane sul territorio italiano, di cui circa il 28 % caratterizzate da dinamiche rapide e potenziale distruttivo rilevante. Questi numeri raccontano una verità scomoda: il dissesto idrogeologico non è un’emergenza futura, ma una condizione attuale e diffusa».
Una storia lunga cinquant’anni
«La Commissione De Marchi, cinquant’anni fa - prosegue l'Ordine dei geologi - formulò un programma dettagliato di interventi strutturali per la difesa del suolo: mappe, priorità, risorse, tempistiche. La sua latenza è il motivo per cui continuiamo ad assistere, anno dopo anno, a vite spezzate, case distrutte, paesi feriti. Oggi, come geologi e come cittadini, rinnoviamo la richiesta alla classe dirigente: basta parole; serve coraggio, visione e strategie di lungo termine. Occorre approccio integrato che contemperi più efficacemente reti di monitoraggio, sistemi di allertamento e tecnologia aperta (mappe, open data), una cultura della prevenzione nelle comunità, con trasparenza e impegno costante, pianificazione sostenibile del territorio, interventi strutturali mirati, manutenzione diffusa e continua. Solo così potremo sperare che non si debba più piangere un’altra vita travolta dall’acqua, ma che il territorio possa finalmente essere difeso davvero».
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