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La mafia agrigentina, il titolare di un bar picchiato perché disse no al pizzo

quartiere Villaseta

Colpi di pistola per intimidire le vittime, attentati incendiari, spedizioni punitive, aggressioni. È questo lo scenario in cui si muovevano gli indagati nell’inchiesta condotta dai carabinieri di Agrigento e coordinata dalla Dda di Palermo, culminata con 51 misure di custodia cautelare e che ha permesso di sgominare una presunta organizzazione criminale affiliata nell’Agrigentino a Cosa nostra, pronta a scatenare una nuova violenta faida tra clan contrapposti. Agli atti dell’inchiesta sono finiti summit di mafia, denunce, intercettazioni telefoniche e ambientali.

Viene fuori una fotografia spietata di boss e gregari, che tentavano in tutti i modi, attraverso il metodo mafioso, di impossessarsi del territorio. Guai a chi osava ribellarsi alle leggi di Cosa nostra.
Il titolare di un bar, dove alcuni esponenti della presunta organizzazione criminale, erano soliti andare a mangiare e bere a sbafo, venne picchiato a sangue e il suo locale distrutto, per non essersi piegato ad una richiesta estorsiva di mille euro al mese avanzata da due presunti affiliati all’organizzazione criminale.

Aggressione avvenuta alla presenza di un minorenne, figlio dell’autore del pestaggio che al rifiuto del titolare del bar di pagare il pizzo, rispose riempendolo di calci e pugni. Venne preso a schiaffi, ripetutamente, anche un dipendente del bar, senza alcun motivo. Dopo il pestaggio, i due aggressori consumarono cibo e bevande e offerto da bere ad altri clienti, andando via senza pagare. Uno dei due, avrebbe assunto quell’atteggiamento spavaldo perché, essendo in attesa di un imminente provvedimento detentivo, sarebbe stato di conseguenza molto stressato.

La vittima, dopo aver subito l’aggressione, si recò dai carabinieri e presentò una denuncia, per violenza e minacce nei suoi confronti e nei confronti dei suoi dipendenti, nonché per il mancato pagamento di cibo e bevande alcoliche consumate all’interno del bar. I due presunti estorsori, prima di aggredire il titolare del bar e alcuni suoi dipendenti e prima che saltassero in aria tavolini, sedie e registratore di cassa, si erano già recati al bar, qualche ora prima, prelevando una bottiglia di champagne. Scene riprese dalle immagini del sistema di video sorveglianza del locale e finite agli atti dell’inchiesta.

Tre colpi di pistola invece, vennero esplosi all’indirizzo della porta dell’abitazione di un residente del quartiere Villaseta (nella foto) e successivamente gli venne incendiata l’auto, perché all’interno della palazzina in cui viveva, vi sarebbero stati dei dissapori tra condomini. L’uomo, venne anche aggredito all’interno di un parcheggio, colpito alle spalle con pugni alla nuca e con calci all’addome da ignoti malviventi che mentre lo pestavano, gli dissero di essere infastiditi dal volume del suo televisore, soprattutto durante la notte fatta per dormire. Avrebbero anche minacciato la vittima affermando che sarebbero stati pronti a sparargli.

Qualche mese dopo, sarebbe scoppiata una rissa tra minorenni, nel corso della quale sarebbero spuntati bastoni e coltelli. Dall’indagine emerge tutta la pericolosità della famiglia mafiosa di Villaseta, che disponeva di armi e munizioni. Spesso alcuni affiliati si esercitavano in contrada Fondacazzo, sparando all’indirizzo dei cartelli stradali, procedendo prima allo scarrellamento, per mettere il colpo in canna e preparare l’arma allo sparo. Così, in qualsiasi momento, erano pronti a colpire.

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