A Messina c’è una sola sezione di Corte d’assise d’appello. È questo il motivo per il quale la Corte di Cassazione, dopo avere disposto l’annullamento con rinvio della sentenza emessa dai giudici di secondo grado della città peloritana, ha disposto che il nuovo processo per l’omicidio di Lorena Quaranta, la ragazza di Favara uccisa nel 2020 a Furci Siculo dal compagno, l’infermiere Antonio De Pace, venga celebrato davanti alla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria.
L’annullamento della sentenza d’appello disposto dalla Suprema Corte non riguarda, la responsabilità penale dell’imputato, dichiarata «irrevocabile» dalla Cassazione, ma la mancata concessione delle attenuanti «per stress da Covid». La Corte d’assise d’appello di Messina, inoltre, secondo la Corte di Cassazione, non ha verificato se «la contingente difficoltà di porre rimedio» allo stato d’angoscia dell’imputato a causa del Covid, «costituisca un fattore incidente sulla misura della responsabilità penale». La concessione delle attenuanti generiche consentirebbe a De Pace di evitare l’ergastolo, con una riduzione della condanna che gli è stata inflitta a 30 anni di reclusione. Ma occorrerà attendere la valutazione della corte di Reggio Calabria. Il padre di Lorena, Enzo Quaranta (nella foto), intanto si sfoga: «L'hanno uccisa un’altra volta - dice -, è veramente una sconfitta. Provo sdegno per la decisione della Cassazione che ridimensiona tutto per via del Covid, è inaccettabile».
L’omicidio è avvenuto il 31 marzo del 2020 nell’abitazione di Furci Siculo che i due condividevano per motivi di studio. «Il presidente di Cassazione - aggiunge Quaranta - secondo me non ha letto neanche le carte, parla di Covid, ma dalle chat di whatsapp di De Pace si evince che non era affetto da nessuno stress perché ogni sera usciva per andare a giocare con gli amici alla Playstation. La rabbia non è solo relativa al caso di mia figlia - dice ancora Enzo Quaranta - ma è per tutte le donne uccise da chi diceva di amarle, questa è una giustizia malata». Il papà di Lorena lancia un appello ai giudici di Reggio Calabria, «affinché possano valutare tutto attentamente per poter avere la vera giustizia».
La sorella Danila aggiunge: «Siamo indignati, non ce l’aspettavamo. Stiamo vivendo una situazione del tutto assurda. Non si uccide la propria ragazza perché si è stressati a causa del Covid. Rischia di passare un messaggio devastante per tutte le donne - aggiunge la ventisettenne - ossia che si può uccidere ed evitare l’ergastolo se si è stressati». Il legale di parte civile Giuseppe Barba rincara la dose: «Siamo in presenza di una motivazione fantasiosa che si discosta dal contenuto di entrambe le sentenze di merito che hanno motivato abbondantemente circa la insussistenza dei presupposti per poter ritenere l’imputato meritevole di concessione delle circostanze attenuanti generiche». Il difensore prosegue: «È inspiegabile ancorare tale decisione sulla circostanza che lo stesso abbia agito in un momento di forte disagio emotivo legato al Coronavirus. Insisteremo con tutte le nostre forze per fare confermare la sentenza con l’unica pena giusta: l’ergastolo».
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