La corte d’Assise di Agrigento, presieduta da Wilma Angela Mazzara, ha condannato all’ergastolo il quarantaseienne di Santa Elisabetta Roberto Lampasona, accusato di essere uno degli autori materiali dell’omicidio del pensionato di Raffadali Pasquale Mangione, ex impiegato comunale, ucciso a colpi di pistola, e colpito alla testa col calcio della stessa arma, il 2 dicembre del 2011, nella sua abitazione di campagna in contrada Modaccamo. I giudici hanno accolto la richiesta del pm Sara Varazi a conclusione della requisitoria del processo, nel quale Lampasona era unico imputato perché gli altri due accusati hanno scelto il giudizio abbreviato. A svelare i retroscena della vicenda era stato Antonino Mangione che si è auto-accusato di avere organizzato l’omicidio, tirando in ballo uno dei figli della vittima, in un primo momento indagato con l’accusa di essere stato il mandante prima di venire scagionato. A commettere materialmente l’omicidio, secondo il racconto di Antonino Mangione, sarebbero stati Lampasona e D’Antona. Il collaborante aveva aggiunto: «Ho chiesto l’autorizzazione a Francesco Fragapane (condannato con l’accusa di essere il nuovo capo mandamento) che mi disse che la vittima non apparteneva a Cosa nostra e, in definitiva, potevamo fare quello che volevamo». La pista familiare è stata accantonata, tanto che la procura ha chiesto l’archiviazione per il figlio della vittima (ratificata dal gip) e mandato a processo solo Antonino Mangione, D’Antona e Lampasona. I primi due sono stati condannati nel troncone abbreviato (16 anni D’Antona, 10 anni Mangione). I difensori di Lampasona, gli avvocati Antonino Gaziano e Salvatore Manganello, avevano chiesto l’assoluzione, sostenendo che le accuse di Antonino Mangione fossero la conseguenza di astio personale e avessero l’obiettivo di allontanare i sospetti da un suo familiare.