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Agrigento, mafia e reddito di cittadinanza: per 19 fissata l'udienza preliminare

Il Palazzo di Giustizia di Agrigento

Ci sono il braccio destro del capo provinciale di Cosa Nostra ad Agrigento, la moglie di un pentito, affiliati mafiosi che hanno finito di scontare la condanna e pregiudicati ai domiciliari condannati con l’accusa di essere trafficanti di droga del clan. Diciannove presunti «furbetti del reddito di cittadinanza» rischiano adesso il rinvio a giudizio. L’udienza preliminare, dopo una serie di passaggi a vuoto fra trasferimenti dei giudici e impedimenti, è stata fissata per il 13 giugno.

Ad alcuni di loro si contesta di avere ottenuto l’erogazione del beneficio nonostante avessero riportato delle condanne per associazione mafiosa, che sono ostative per legge. Ad altri, coniugi o parenti di mafiosi, si contesta di avere omesso di dichiarare l’esistenza della condanna per incassare un contributo superiore.

Sul banco degli imputati: Ignazio Sicilia, 45 anni, di Favara; Enzo Quaranta, 50 anni, di Favara; Luigi Messana, 63 anni, di Canicattì; Giovanni Calogero Scozzaro, 63 anni, di Casteltermini; Carmelina Virone, 50 anni, di Agrigento; Paola Quaranta, 52 anni, di Favara; Calogera Sferlazza, 46 anni, di Favara; Rosalia Calacione, 46 anni, di Favara; Lucia Cacciatore, 29 anni, di Agrigento; Maria Spoto, 60 anni, di Casteltermini; Sergio Cusumano, 57 anni, di Agrigento; Pasquale Alaimo, 52 anni, di Favara; Maria Rita Cutaia, 45 anni, di Canicattì; Vincenza Genco, 59 anni, di Cammarata; Angelo Pirrera, 41 anni, di Favara; Gesua Presti, 45 anni, di Favara; Carmela Signorino Gelo, 49 anni, di Favara; Rita Spallino, 40 anni, di Castrofilippo; Monia Russello, 39 anni, di Agrigento.

Sicilia, Messana, Enzo Quaranta, Scozzaro e Alaimo sono accusati di avere omesso di dichiarare l’esistenza a loro carico di condanne definitive per associazione mafiosa che avrebbero impedito la concessione del reddito di cittadinanza, usufruendo - invece - dell’erogazione di svariate migliaia di euro.

Alaimo, peraltro, ha scontato 13 anni di reclusione per l’accusa di essere stato il braccio destro del capo provinciale di Cosa Nostra, Maurizio Di Gati. Diverso il caso di Cusumano che avrebbe dovuto comunicare il suo arresto nell’ambito dell’inchiesta antimafia Kerkent nella quale, nei mesi scorsi, è stato condannato a 12 anni e 8 mesi per traffico di droga.

Gli altri sono coniugi o familiari di mafiosi o persone finite in carcere. Fra loro - Carmela Signorino Gelo -, moglie del pentito Giuseppe Quaranta che avrebbe dovuto comunicare la circostanza che il marito si trovava in carcere. L’omissione, come in tutti gli altri casi analoghi, comportò l’erogazione del contributo in misura maggiore.

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