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«Dammi i soldi o ti ammazzo»: nei vocali whatsapp le minacce del ragazzo ucciso dal padre

A sinistra l'arresto di Gaetano Rampello, a destra il giovane ucciso

Ribadisce la confessione, ma nega di avere premeditato l’omicidio: aspetto su cui il pubblico ministero Chiara Bisso insiste chiedendo, anche per questo, la convalida dell’arresto e la custodia in carcere. «Non è vero che ho portato con me la pistola per ucciderlo, la tengo sempre con me per abitudine e per esigenze operative e di custodia», dice Gaetano Rampello, 57 anni, poliziotto in servizio al reparto mobile della Questura di Catania, che conferma i fatti (ha esploso  in piazza a Raffadali 14 colpi di pistola addosso al figlio Vincenzo Gabriele, 24 anni), ma esclude la premeditazione.

Il difensore, l’avvocato Daniela Posante, ha chiesto e ottenuto dal giudice di fare sentire in aula, durante l’interrogatorio di convalida che si è celebrato da remoto col carcere, i messaggi vocali whatsapp in cui si sente il ragazzo, per tantissimi minuti, insultare e minacciare di morte il padre dal quale pretendeva, sostiene l’accusa, che gli desse sempre soldi. «Dammi i soldi - dice con tono visibilmente alterato - perché altrimenti di ammazzo». Poi una serie di insulti indicibili e la minaccia: «Se ti permetti di condividere il messaggio o andare dai carabinieri ti ammazzo, ti taglio la testa».

Il poliziotto, secondo la ricostruzione dei fatti, ha scaricato 14 colpi di pistola contro il figlio, nella centrale piazza Progresso, dopo l’ennesima aggressione. I due si erano dati appuntamento per la consegna concordata di 30 euro, chiesti con toni minacciosi la notte precedente. Al momento della consegna l’aggressione e l’insulto: «Me ne devi dare 50». Poi la vera e propria rapina, con il ragazzo, che soffriva di problemi psichici, che gli sfila il portafogli prendendogli altri 15 euro. Il padre, a quel punto, estrae l’arma e spara, colpendolo al capo, all'addome e al torace.

Rampello, che subito dopo ha chiamato i carabinieri per farsi arrestare, ha chiesto di essere trasferito in un carcere militare. L’avvocato Posante, al termine dell’interrogatorio, nel quale il poliziotto ha confermato la confessione negando la premeditazione, contestata in fase di richiesta di convalida, ha chiesto l’applicazione dei domiciliari con il braccialetto elettronico. «A prescindere dalla pena che gli sarà inflitta, sta già pagando da 24 anni e vivrà col tormento per sempre», ha detto il legale.

 

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