"Favori a tre marescialli da due imprenditori per soffiate su indagini": tutti prosciolti ad Agrigento
«Non luogo a procedere perchè il fatto non sussiste e per avvenuta prescrizione»: questa la sentenza del gup Giuseppe Miceli che rigetta l’iniziale richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Agrigento e non manda a processo tre marescialli appartenenti a vari corpi di polizia e due imprenditori accusati di averli corrotti. In mattinata, dopo una lunga e articolata udienza preliminare, il giudice aveva letto un’ordinanza con la quale, recependo numerose osservazioni della difesa, aveva dichiarato l’inutilizzabilità di alcune intercettazioni. Alla luce del provvedimento, il pubblico ministero Chiara Bisso aveva fatto marcia indietro rispetto alla richiesta della collega Alessandra Russo di disporre il rinvio a giudizio, chiedendo di emettere una sentenza di non luogo a procedere. Il procedimento è quello che ipotizzava una serie di favori, regalie e promesse di posti di lavoro in cambio di informazioni riservate su indagini in corso e sulle istruttorie antimafia nei confronti dell’azienda. N ell’inchiesta, avviata dalle risultanze di almeno altri tre procedimenti, erano indagati altri imprenditori e sottufficiali la cui posizione è stata stralciata e nei cui confronti è stata disposta l’archiviazione. Gli imputati erano Salvatore Trigona, 54 anni, maresciallo aiutante delle Fiamme Gialle, in passato in servizio alla Direzione investigativa antimafia; Francesco Barba, 58 anni, in servizio nella tenenza della Guardia di Finanza di Porto Empodocle; Salvatore Manuello, 64 anni, nel 2013 in servizio alla Compagnia di Licata; Angelo Incorvaia, 58 anni, di Canicattì e Valerio Peritore, 54 anni, di Licata; questi ultimi due sono imprenditori, legali rappresentanti della Omnia Srl, società di Licata che opera nel campo della gestione dei rifiuti. I due imprenditori, secondo quanto ipotizzava in un primo momento la Procura, avevano corrotto i tre marescialli avendone in cambio informazioni riservate su indagini in corso e sull'istruttoria relativa alle certificazioni antimafia. I sottufficiali sarebbero stati ricompensati con il pagamento dell’Ici relativa a delle proprietà personali (nel caso di Trigona), con la promessa dell’assunzione del fratello (Barba) e con una consulenza in affari di tipo personale (Manuello). Trigona, sostiene l’accusa, avrebbe ricambiato il favore informando Incorvaia e Peritore «dell’esito e del contenuto delle riunioni in Prefettura del Gruppo interforze che stava valutando la certificazione antimafia della Omnia». Lo stesso avrebbe fatto Manuello comunicando al solo Peritore anche «i dati rivelatori del rischio di infiltrazione mafiosa della Omnia». Barba, invece, era accusato di avere rivelato notizie riservate su un’indagine della Procura ai due imprenditori che gli avevano promesso l’assunzione del fratello alle dipendenze della ditta. Accuse che gli imputati e i rispettivi difensori (gli avvocati Daniela Posante, Giuseppe Barba, Gioacchino Genchi, Angelo Balsamo e Antonio Ragusa) hanno sempre respinto. Il decorso del tempo, che ha fatto cadere in prescrizione alcune accuse, e l’inutilizzabilità di alcune intercettazioni che scaturivano da altri procedimenti, hanno fatto sì che non si rendesse necessario neppure un approfondimento della vicenda in dibattimento. (AGI)