Con Giovanni Lauria, 79 anni, che i carabinieri considerano il boss di Licata, sono finiti in manette, nel blitz notturno degli uomini dell’Arma, il figlio Vito, 49 anni, e un funzionario della Regione siciliana, Lucio Lutri, 60 anni, che con i due Lauria divide l’appartenenza alla massoneria, sebbene sia stato ora radiato. Lauria junior è maestro venerabile della loggia di Licata «Arnaldo da Brescia», appartenente al Grande Oriente d’Italia(Goi). Lutri, dipendente dell’assessorato all’Energia, dove si occupa di finanziamenti pubblici, è stato maestro venerabile della loggia palermitana «Pensiero e azione» (oggi è «copritore interno» nella stessa loggia, inaugurata a Palermo nel 2016). «L'associazione mafiosa - scrivono i pm nel provvedimento di fermo - ha avuto garantita da Lutri la sua disponibilità e l'utilizzo di importanti canali massonici, ottenendo vantaggi consistenti». Lutri è un uomo dalla doppia identità, che dice di sé: «La mattina quando mi sveglio con una mano tocco il crocifisso e 'dra bannà (di là, ndr) ho il quadro di Totò Riina e mi faccio la croce». Convinto che le sue relazioni lo avrebbero protetto da ogni pericolo, Lutri diceva: «Ma chi minchia ci deve fermare più?». Rilevante anche la figura di Angelo Occhipinti, uscito dal carcere due anni fa e alleato dei Lauria. Il suo «ufficio» era un garage, dove aveva installato un disturbatore di frequenze che accendeva ogni volta che organizzava incontri coi boss. Ma l'apparecchio non ha impedito agli investigatori d’intercettare comunque le conversazioni. Intanto, dopo l'inchiesta Leo Taroni, sovrano gran commendatore della massoneria, ha disposto la radiazione di Lucio Lutri, quarto grado del rito scozzese antico e accettato, e si è detto disponibile per qualunque chiarimento si rendesse necessario con l'autorità giudiziaria. Taroni ritiene che in un "momento così delicato per il Paese, anche se non sono mancati errori giudiziari, bisogna credere a quelle toghe che hanno saputo resistere al fascino di un altro potere ricco di palcoscenici e agiscono davvero per l'accertamento della verità processuale".