Mafia, blitz contro i clan tra Agrigento e Palermo: nuovi arresti per 10 boss, sette aziende vittime delle estorsioni
A febbraio erano stati rimessi in libertà dopo che i giudici del Riesame avevano annullato per difetto di motivazione 13 misure cautelari sostenendo che ci fosse un difetto di motivazione e che il giudice si fosse limitato a fare un copia e incolla della richiesta di arresto depositata dai pm. La decisione aveva fatto tornare liberi mafiosi ed estortori agrigentini, ma nei giorni scorsi la Cassazione le ha annullate. Dunque è scattato un blitz questa notte, un seguito dell'operazione “Montagna” contro le cosche della provincia e che ha portato agli arresti dieci boss più un obbligo di dimora per un undicesimo indagato. Oltre 100 carabinieri del Comando provinciale di Agrigento hanno nuovamente arrestato dieci esponenti di vertice di famiglie di cosa nostra agrigentina ma anche del palermitano. Il blitz, ordinato dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, è scattato nel cuore della notte con l’ausilio di un elicottero, di unità cinofile e dello Squadrone Eliportato carabinieri cacciatori di Sicilia. L’operazione ha inflitto un ulteriore duro colpo agli attuali assetti di cosa nostra, permettendo di documentare ulteriormente estorsioni ai danni di 7 aziende. Numerose perquisizioni, alla ricerca di droga, armi ed esplosivi, sono ancora in corso. Alle 3 di notte, è scattato il blitz (Video). Un elicottero vigilava dall’alto, facendo rapidamente la spola tra Raffadali, Favara e San Biagio Platani. Oltre 100 militari, supportati anche da unità cinofile per la ricerca di droga, armi ed esplosivi, hanno fatto simultaneamente irruzione in ville, appartamenti, case di campagna e casolari. In pochi minuti, sono scattate le manette ai polsi di 10 pericolosi soggetti, quasi tutti ai vertici delle famiglie di “Cosa Nostra” agrigentina e del palermitano. L’accusa è di “associazione di tipo mafioso armata” finalizzata alle estorsioni. L'operazione è scaturita dalle indagini svolte dai carabinieri del Reparto operativo di Agrigento nel periodo febbraio/maggio 2018, che hanno permesso di acquisire ulteriori elementi di prova, confermati dalle dichiarazioni rese da un nuovo collaboratore di giustizia, che ha iniziato a dare il suo contributo proprio dopo essere stato arrestato nell’ambito dell’operazione “Montagna”. Sono emersi nuovi elementi sui ruoli nei mandamenti e nelle famiglie mafiose e anche altri episodi di estorsioni, tentate e consumate, ai danni complessivamente di sette società appaltatrici di opere pubbliche di ingente valore. L’inchiesta aveva già documentato l’esistenza di un nuovo mandamento, quello, appunto, della “Montagna”, da cui prende il nome l’intera operazione. Il nuovo mandamento sarebbe frutto di una scelta fatta nel 2014 dal 37enne Francesco Fragapane, arrestato durante il primo blitz, ritenuto capo dello stesso mandamento, figlio di Salvatore, quest’ultimo già capo provincia di “Cosa Nostra” agrigentina. L'INCHIESTA E IL PRIMO BLITZ. Dopo il blitz Montagna, rompendo un muro di omertà storico, per la prima volta, decine di commercianti e imprenditori della provincia per anni vittime del racket, hanno iniziato a collaborare con gli inquirenti facendo nomi e cognomi degli esattori del pizzo. Un paradosso accaduto in una provincia che è stata teatro della più grossa operazione antimafia mai fatta nella zona. Cinquantasette arresti, con boss di prima grandezza finiti in cella insieme ad esattori del pizzo, gregari e prestanomi. L'hanno chiamata "operazione Montagna" perché a tappeto sono stati disarticolati i vertici di tutti i clan dell'area montana. Cosche come quella di Raffadali, Aragona, S. AngeloMuxaro e San Biagio Platani, Santo Stefano di Quisquina, Bivona, Alessandria della Rocca, Cammarata e San Giovanni Gemini sono rimaste "orfane" dei loro capi, come Antonino Vizzì e Luigi Pullara, fino alle scarcerazioni disposte dal Riesame. Paradossalmente, invece, è rimasto in carcere Giuseppe Quaranta, ex capomafia di Favara che, dalla fine di gennaio, ha cominciato a collaborare con i magistrati . Le sue dichiarazioni e le ammissioni delle vittime del pizzo sono elementi nuovi usati dalla Procura per gli arresti di oggi. L'indagine, coordinata dal Procuratore Francesco Lo Voi, racconta di una mafia che parla un linguaggio antico, perpetua organigrammi tradizionali, fa affari con la droga e le estorsioni e si vanta di esistere "fin dalla storia del mondo". Ma non disdegna business nuovi. Ovunque ci siano fondi pubblici su cui mettere mano i clan accorrono. Dall'inchiesta e' emerso, infatti, tra l'altro che il capomafia di Cammarata Calogerino Giambrone avrebbe cercato di infilarsi nella gestione di una coop, la San Francesco di Agrigento, che si occupa di accoglienza di migranti.