CAMASTRA. Lasciato solo dopo aver denunciato il pizzo, con la sua famiglia, a Camastra, un paese di mille anime nell’entroterra agrigentino. La storia di Vincenzo De Marco, imprenditore nel campo delle onoranze funebri, nel 2012 denunciò i suoi strozzini perché gli chiedevano la metà dell’«incasso» per ogni servizio svolto. Si ribellò e venne minacciato: «La prossima cassa da morto sarà per te» gli dissero. De Marco da quel giorno non dormiva più.
Gli aguzzini prima gli incendiarono due mezzi con i quali lavorava, poi sabotarono un recipiente sul tetto di casa e in seguito fecero terra bruciata intorno a lui. Sì, perché la famiglia Meli, finita in carcere dopo l’inchiesta «Vultur» che portò all’arresto di Rosario Meli, del figlio Vincenzo, di Calogero Piombo e Calogero Di Caro, pensò, dopo il diniego dell’imprenditore originario di Casteltermini, di fargli concorrenza, aprendo «l’agenzia funebre» come venne chiamata per fugare ogni dubbio su quale attività i camastresi dovevano scegliere.
«Se le minacce continue e le intimidazioni - ricorda De Marco - ci facevano temere per la nostra vita, quel tentativo di affossare la mia impresa, rischiava farci di morire di fame». Infatti, dopo la denuncia e l’apertura della nuova agenzia, i servizi commissionati a De Marco cominciarono a diminuire, fino ad essere appena tre nel 2017.
«Quando chiedevo ai miei compaesani sul perché non scegliessero più la mia agenzia, mi rispondevano che avevano paura – aggiunge –. Per loro ero io l’alieno perché avevo denunciato i miei estorsori». Quando nel luglio del 2016 le sirene della Squadra mobile illuminarono la notte di Camastra, arrestando i presunti estorsori finiti nell’inchiesta «Vultur», a De Marco sembrò di poter ricominciare a lavorare. Speranza che si vanificò già il giorno successivo al blitz, quando fu posto un volantino davanti all’ingresso dell’altra attività che non lasciava dubbi: «Questa agenzia rimarrà sempre aperta».
Un messaggio che sembrò essere un monito per tutti: nonostante gli arresti, non cambia nulla. Sì, perché a mandare avanti l’attività ci pensano le donne della famiglia Meli. «Ho continuato a non lavorare – conferma De Marco – mentre tutti sceglievano l’agenzia aperta dai mafiosi per farmi un torto. Solo adesso, dopo ben otto mesi dall’ultimo funerale abbiamo effettuato un servizio grazie soprattutto al clamore mediatico che la storia ha avuto».
Il 16 novembre l’agenzia di De Marco si è rimessa in moto: «Spero sia il primo passo. Qui le istituzioni mi hanno lasciato solo per tanto tempo, così come gran parte dei camastrensi che preferiscono l’altra agenzia, punendo chi si è ribellato. Lo rifarei ancora – conclude – ma a volte ho dei dubbi: ho fatto bene a denunciare o era meglio tacere e continuare a lavorare?». E pensa di andare via: «Ho ricevuto migliaia di messaggi da persone che abitano fuori, anche nei paesi vicini. Pochissimi da Camastra».
Scopri di più nell’edizione digitale
Per leggere tutto acquista il quotidiano o scarica la versione digitale.
Caricamento commenti
Commenta la notizia